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Negli oceani le “zone morte” crescono a dismisura

Articolo del 22 aprile 2021

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Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, presentato in questi giorni a New York, ci sono negli oceani sempre più cosiddette “zone morte”. Si tratta di zone del mare che sono molto povere di ossigeno e dove la vita è praticamente scomparsa 

A lanciare l’ennesimo allarme è stato Antonio Guterres, il segretario generale dell’ONU. La nostra civiltà industriale scarica infatti senza ritegno milioni di tonnellate di azoto e fosforo negli oceani. Ciò ha conseguenze gravissime per la fauna marina, perché questi fertilizzanti sono all’origine del calo dell’ossigeno disciolto nell’acqua e quando il contenuto di ossigeno scende, gli organismi superiori muoiono.

Stando al secondo "World Ocean Assessment", il rapporto molto dettagliato sullo stato degli oceani stilato dalle Nazioni Unite, le zone oceaniche molto povere di ossigeno, zone in cui in cui la vita è praticamente scomparsa, sono passate in un solo decennio, ossia tra il tra il 2008 e il 2019, da poco più di 400 a circa 700. Le zone più colpite da questo fenomeno sono il Golfo del Messico, il Mar Cinese Meridionale, il Mar Baltico e il Mare del Nord.

All’origine del fenomeno vi è una moltiplicazione incontrollata delle alghe favorita da un lato dall’immissione nelle acque oceaniche dei fertilizzanti sopra citati, fertilizzanti che sono usati in modo massiccio nell’agricoltura industriale e non solo, e dall’altro dall’aumento della temperatura delle acque marine, alla cui origine c’è il surriscaldamento del clima. Una volta morte, queste alghe si depositano sui fondali marini, dove vengono metabolizzate da batteri che consumano ossigeno. In questo modo possono formarsi in profondità enormi zone, in cui l’ossigeno è praticamente assente.

Secondo le stime, entro i prossimi trent’anni l’apporto di azoto e di fosforo dovrebbe raddoppiare e di conseguenza il fenomeno delle zone marine prive di vita intensificarsi drammaticamente nel corso dei prossimi decenni. Se si tiene poi conto del fatto che questo fenomeno non è l’unico ad avere un forte impatto sulla salute degli oceani, bisogna infatti citare anche l’inquinamento da plastiche e microplastiche, la crescente acidificazione delle acque oceaniche, la diminuzione della loro salinità a causa della fusione delle calotte glaciali, l’eccessivo e devastante sfruttamento degli stock ittici tramite la pesca industriale che ha decimato la fauna marina, la recente formazione di massicce ondate di calore marino, come “the blob” che ha sconvolto negli scorsi anni gli ecosistemi del Mare di Bering e del Golfo dell’Alaska, ebbene, se si tiene conto di tutto ciò, possiamo dire senza temere di sbagliare che la vita dei nostri oceani sta dirigendosi verso tempi alquanto burrascosi.