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A mali estremi, estremi rimedi

Articolo del 12 marzo 2020

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In questi tempi, in cui il coronavirus occupa il 100% degli spazi mediatici, non è certo facile attirare l’attenzione sull’emergenza climatica. Eppure le reazioni all’emergenza sanitaria causata da questo virus illustrano perfettamente l’utilità di una reazione tempestiva e radicale a un pericolo che rappresenta una minaccia sistemica per la nostra società

L’anno scorso è stato a livello globale il secondo più caldo da quando si misurano le temperature. L’ultimo decennio è stato quello più caldo di tutta la storia dell’umanità. Lo scorso mese di gennaio è stato il più caldo di sempre. A dirlo è Petteri Taalas, il segretario generale dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale, che ha precisato che sono pure stati battuti tutti i primati di emissioni di CO2, di metano (CH4) e di ossido di azoto (N2O), che sono i tre principali gas a effetto serra. Anche Antonio Guterres, il segretario generale dell’ONU, sottolinea la gravità della situazione: “Oggi la concentrazione di gas a effetto serra ha raggiunto il livello più alto da 3 milioni di anni, epoca in cui la temperatura era di 3 gradi più alta e il livello del mare superava quello odierno di 15 metri.”

Il bilancio dei devastanti incendi australiani

All’ombra dell’attenzione mediatica tutta concentrata sul coronavirus, proprio in questi giorni è stato pubblicato dal Climate Council australiano il bilancio dei devastanti incendi che hanno colpito l’Australia nell’estate che si sta concludendo. Quasi l’80% della popolazione è stata toccata in modo più o meno diretto dagli incendi, 33 sono stati i morti, 3’000 le case andate in fumo, 23'000 le notifiche di danni alle assicurazioni, 2.6 in miliardi di euro le perdite del settore turistico. In appena quattro mesi gli incendi hanno distrutto 12,5 milioni di ettari di bosco, una superficie equivalente a 1/3 della Germania, e ucciso un miliardo di animali. Tutto ciò in soli quattro stati australiani, ossia nel News South Wales, nel Queensland, nel South Australia e nel Victoria. “Lotto da 50 anni contro il fuoco, ma un’estate australe come questa non l’ho mai vista”, ha detto Greg Mullins, l’ex capo dei vigili del fuoco del New South Wales, che ha precisato che è stato il riscaldamento climatico ad alimentare questi giganteschi roghi.

Situazione drammatica anche in altre parti del mondo

Siccità e ondate di calore di dimensioni mai viste finora hanno colpito, oltre all’Australia, l’India, il Sudafrica, il Corno d’Africa, la California e il Cile, paese, quest’ultimo, dove la siccità perdura oramai da 11 anni e ha causato solamente lo scorso anno la morte di oltre 100'000 capi di bestiame. Ad oggi il 40% delle municipalità cilene hanno decretato lo stato d’urgenza idrica. Anche qui da noi in Europa si stanno registrando temperature mai viste prima. Quest’inverno è stato in Europa il più caldo di sempre e la temperatura media è stata di 3.4°C più elevata di quella del trentennio 1981-2010, in Scandinavia addirittura di +6°C, mentre la siccità sta mettendo a dura prova gli agricoltori, spagnoli, quelli, italiani, quelli francesi e quelli tedeschi.

I rifugiati climatici superano oramai quelli delle guerre

Stando al World Migration Report 2020, all’inizio del 2019 si contavano 28 milioni di nuovi sfollati interni in 148 paesi. Di questi il 61%, ossia 17,2 milioni, hanno dovuto lasciare le loro abitazioni a seguito di disastri, come uragani, inondazioni e siccità, mentre il restante 39%, ossia 10,8 milioni di persone, hanno dovuto scappare a causa di guerre e violenze. Si sta dunque avverando ciò da cui aveva messo in guardia la Banca Mondiale, ossia che in assenza di un’azione decisa contro il surriscaldamento del clima, entro il 2050, ci saranno oltre 143 milioni di rifugiati climatici.

Anche grandi ecosistemi possono collassare in breve tempo

Proprio in questi giorni è stato pubblicato nella prestigiosa rivista scientifica “Nature Communications” uno studio di un gruppo di esperti della University of Southampton (GB), secondo cui i grandi ecosistemi, come la foresta pluviale amazzonica o la grande barriera corallina australiana, sono particolarmente vulnerabili al riscaldamento climatico e agli interventi dell’uomo e possono collassare entro breve tempo. Stando agli studiosi, i 5,5 milioni di km2 della rigogliosa foresta amazzonica potrebbero sparire in appena 50 anni e trasformarsi in savana, mentre i 20'000 km2 di barriere coralline dei Caraibi potrebbero sparire entro soli 15 anni. Per arrivare alle loro conclusioni i ricercatori hanno analizzato ben 42 ecosistemi attualmente sottoposti a forte stress, come ad esempio il mare di fronte all’isola canadese di Terranova, dove gli stock ittici sono crollati in breve tempo, le barriere coralline che circondano la Giamaica, oggi definitivamente sbiancate, o i terreni agricoli del Niger, trasformatisi oramai in un deserto. Stando agli esperti, un ecosistema, sottoposto a stress, riesce in un primo tempo ad adattarsi, ma poi, quando l’impatto supera un certo livello, segue un rapido collasso.

Dobbiamo agire rapidamente

Se c’è un insegnamento che possiamo trarre dalla pandemia di coronavirus, è che di fronte al pericolo di un collasso globale occorre agire rapidamente e in modo estremamente radicale. Già a fine gennaio il governo cinese, senza badare alle spese, ha messo in quarantena totale i 60 milioni di abitanti della provincia di Hubei, ha costruito in una manciata di giorni 15 nuovi ospedali con 30'000 posti letto, ha mobilitato migliaia di medici e infermieri, ha sospeso i trasporti pubblici e ridotto allo stretto necessario gli spostamenti in tutta la Cina e ha chiuso scuole, università, uffici, fabbriche e negozi non essenziali. In questo modo è riuscito ad interrompere la catena dei contagi ed oggi, appena 6 settimane più tardi, i nuovi casi di Covid-19 si sono ridotti questo giovedì a soli 15, mentre la vita in Cina sta tornando lentamente alla normalità.

Anche se il surriscaldamento del clima ha a corto termine un effetto in apparenza meno drammatico, sul lungo termine i suoi effetti saranno molto più incisivi di quelli della pandemia di coronavirus. Ecco perché occorre agire rapidamente in modo efficace per ridurre le emissioni di CO2. Ogni giorno, settimana, mese e anno perso aggraverà la situazione e, contrariamente al coronavirus, per il clima non vi è alcun vaccino in vista.