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Al largo delle coste siberiane il mare inizia a bollire ... di metano

Articolo del 10 ottobre 2019

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Una squadra di ricercatori dell’Università Politecnica russa di Tomsk, in navigazione nel mare artico al largo delle coste orientali della Siberia, ha visto sgorgare dalle acque dell’oceano una vera e propria fontana di metano

Si sapeva da qualche tempo che la concentrazione di metano (CH4) nell’aria di questa regione è da 6 a 7 volte maggiore della media mondiale e pescatori locali avevano già riferito l’anno scorso di bolle di metano che avevano visto sgorgare sulla superficie del mare, ma nulla aveva preparato i ricercatori russi a bordo della Academic Mstislav Keldysh a un fenomeno di questo tipo. Secondo Igor Semiletov, che dirige la ricerca e che ha alle sue spalle ben 45 spedizioni nell’Artico, “nessuno ha mai visto qualcosa di simile”. La sua squadra è attualmente impegnata nella regione a raccogliere campioni di sedimenti e di acqua di mare per poter valutare lo stato di degrado del permafrost marino. Si, perché 20’000 anni fa, al massimo dell’ultimo periodo glaciale il livello degli oceani era di 120 metri più basso di oggi e questi fondali marini si trovavano sulla terraferma. Il permafrost che si era formato allora in queste zone si trova dunque oggi nascosto sotto la superficie del mare.

Da 5 anni la concentrazione di metano nell’atmosfera sta salendo rapidamente

Fino al 2007 la concentrazione di metano nell’atmosfera è rimasta relativamente stabile e si situava attorno alle 1775 parti per miliardo. Poi ha cominciato a salire, dapprima lentamente e poi, negli ultimi 4, anni ha iniziato ad aumentare rapidamente. All’inizio di quest’anno si situava già a a quota 1850 parti per miliardo. Va notato che il metano è un potente gas a effetto serra, circa 28 volte più potente del CO2, e che fino a recentemente il suo contributo al surriscaldamento del clima era valutato a circa l’8%. Se le emissioni di metano dovessero continuare ad accelerare a questo ritmo, ci ritroveremmo ben presto confrontati non più solo al problema di come ridurre in modo drastico le emissioni di CO2, ma anche a una missione considerata impossibile: quella di contenere l’aumento del metano.

Il permafrost contiene 1’400 miliardi di tonnellate di metano

Circa un 1/3 delle terre emerse è ricoperto da permafrost. Nell’emisfero Nord si tratta di oltre 20 milioni di km2, parte dei quali si trovano sotto la superficie del mare. Questo permafrost contiene una grande quantità di materiale organico, il quale, in caso di scioglimento, si decompone producendo metano. Si stima che il permafrost delle regioni artiche contenga circa 1’400 miliardi di tonnellate di metano. L’aumento delle temperature, particolarmente marcato nelle zone artiche e antartiche, scioglie il permafrost, liberando dunque a termine enormi quantitativi di questo potente gas a effetto serra.

Anche il permafrost sottomarino ha iniziato a sciogliersi

Nel permafrost situato sui fondali marini il metano si trova allo stato solido, sotto forma di idrati (clatrati) di metano, chiamati anche il “ghiaccio che brucia”. Quando questi si sciolgono, il metano viene rilasciato nell’acqua sotto forma gassosa e torna a galla facendo ribollire il mare, proprio come una pentola piena di acqua bollente. Scopo della missione della Academic Mstislav Keldysh è appunto scoprire che cosa stia esattamente succedendo al permafrost situato sui fondali marini. Va precisato che a grandi profondità, dove vigono una pressione molto alta e temperature molto basse, gli idrati rimangono stabili e non rappresentano dunque, almeno per ora, un problema per il clima. Diversa è la situazione nei mari poco profondi, come appunto quello a Nord della Siberia orientale, dove un aumento di pochi gradi della temperatura dell’acqua può provocare lo scioglimento degli idrati di metano. È proprio questo il fenomeno che la spedizione scientifica russa ha avuto l’occasione di osservare per la prima volta in diretta. Va ricordato che già nel 2017, un gruppo di scienziati, esaminando i fondali del mare di Barents situato a cavallo fra la Norvegia e la Russia, aveva identificato su questi fondali centinaia di crateri formati dall’esplosione di depositi di idrati di metano. Un recente studio di scienziati russi ha inoltre costatato che il la velocità di scioglimento del permafrost sottomarino è raddoppiata negli ultimi trent’anni e che si situa attualmente sui 18 cm all’anno.

Il metano ha già mandato una volta in tilt il clima del nostro pianeta

Nella storia della terra c’è stato un periodo in cui tutto ciò è già successo: nel massimo termico del Paleocene-Eocene, 55,8 milioni di anni fa, quando un’enorme vampata di metano fece salire per quasi 200'000 anni la temperatura in media della terra di ben 6 gradi e brevemente addirittura di 8, provocando una drammatica riduzione della copertura vegetale e brutali siccità. Nelle rocce sedimentarie di quell’epoca i geologi hanno trovato le prove inconfutabili di questo rapido aumento della concentrazione di metano nell’atmosfera.

L’inquietante sensazione che ci si stia avvicinando al “tipping point”

Fra molti climatologi si fa strada l’impressione è che ci si stia avvicinando pericolosamente a un cosiddetto “tipping point”, un punto critico di svolta e di non ritorno. Come in tutti i fenomeni fisici, anche il riscaldamento del clima non è infatti un fenomeno lineare, bensì un fenomeno che arrivato a certo punto critico ne innesca degli altri, andando fuori controllo. Due esempi classici di “tipping point” ce li fornisce l’acqua: sotto i 0°C cessa di colpo di essere liquida e diventa solida, sopra i 100°C si trasforma in gas. Per quel che concerne i gas a effetto serra, possiamo dire che a determinare la quantità di CO2 immesso nell’atmosfera siamo noi, con la nostra economia basata sui combustibili fossili. Aumentando il CO2 aumenta la temperatura, ma arrivato a un certo punto critico questo aumento della temperatura provoca lo scioglimento del permafrost che libera a sua volta un nuovo gas a effetto serra, il metano, 28 volte più potente del CO2 e che incrementa ulteriormente il surriscaldamento del nostro pianeta. 

Se l’aumento del CO2 lo possiamo ancora fermare smettendo di utilizzare energie fossili, contro l’aumento del metano non potremo più fare nulla e il clima arrischierà di andare completamente fuori controllo per decine di migliaia di anni.