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L’aumento delle temperature manda in tilt l’ecosistema del pacifico

Articolo del 27 ottobre 2019

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Secondo uno studio di un Gruppo di ricercatori della University of California e del California Department of Fish and Wildlife, appena pubblicato nella rivista Scientific Reports, le foreste di kelp, uno degli ecosistemi marini più ricchi al mondo, stanno crollando

Immaginatevi le lussureggianti foreste californiane che coprono l’immenso territorio che va da San Francisco fino al confine dell’Oregon. Ora immaginatevi che queste foreste scompaiano nel giro di soli due anni. Sembra lo scenario di un film apocalittico hollywoodiano, ma è esattamente quel che sta succedendo alle foreste di kelp situate al largo della California. Per chi non lo sapesse, il termine “kelp” si riferisce alle alghe appartenenti all'ordine Laminariales. Si tratta di alghe giganti che possono raggiungere anche i 60 metri di altezza e che crescono fino a 60 centimetri al giorno formando fittissime foreste sottomarine che offrono cibo e rifugio a moltissime specie animali, non solo a pesci e invertebrati, come stelle marine, ricci e cetrioli di mare, gasteropodi marini, gamberi e tantissimi altri crostacei, ma anche a uccelli marini come gabbiani e sterne, e a mammiferi marini, come foche, otarie e trichechi. Fino a pochi anni fa, lungo certi tratti delle coste dell’Oregon, queste foreste di kelp erano così dense da impedire addirittura la navigazione. Si tratta infatti di uno degli ecosistemi marini più ricchi al mondo, asilo nido di numerosissime varietà di pesci e che è alla base dell’industria della pesca lungo gran parte della costa americana dell’Oceano Pacifico.

La tempesta perfetta

Ma cosa sta succedendo esattamente? All’inizio c’è stato nel 2013 quello che gli americani hanno chiamato “The Blob”, la formazione di una enorme bolla di acqua calda nel Pacifico, al largo delle coste dell’America del Nord, a seguito a una serie annate particolarmente calde. Questo “Blob” s’è esteso nel 2014, poi nel 2015, nel 2016, nel 2018 e quest'anno, raggiungendo anche lo stretto di Behring nell’Alaska. L’acqua calda fino a una profondità di 100 metri ha favorito la diffusione di una misteriosa malattia che ha ucciso praticamente tutte le 20 specie di stelle marine che popolavano le foreste di kelp situate al largo della California settentrionale, fra cui anche quella che gli americani chiamano la “Sunflower Sea Star” (Pycnopodia helianthoides), una stella marina gigante grande fino a un metro e con fino a 24 tentacoli, e che è l’unico predatore in grado di rompere il carapace ultra duro dei ricci di mare viola (Strongylocentrotus purpuratus) i quali si nutrono principalmente di kelp. Scomparse queste stelle marine, i ricci di mare viola hanno cominciato a riprodursi in modo esponenziale (una femmina rilascia nell'acqua milioni di minuscole uova ricoperte di gelatina). Un conteggio effettuato recentemente su una sola scogliera dell’Oregon ne ha identificati ben 350 milioni, il 10’000% in più di quanti se n’erano contati nel 2014! In appena due anni questi miliardi di ricci viola hanno divorato oltre il 90% della foresta di kelp situata lungo oltre 400 km di costa nel nord della California e il fenomeno si sta ora estendendo anche ad altre zone: dalla Baja California fino all’Alaska.

Un disastro per l’industria della pesca

La scomparsa delle foreste di kelp segna anche la fine del “Red Abalone” uno dei frutti di mare più pregiati. Stando allo studio, nelle zone dell’Oceano Pacifico prospicenti il Nord della California, il 96% dei Red Abalone sono oramai scomparsi e gli allevamenti di questo mollusco gasteropodo hanno dovuto chiudere, con una perdita di oltre 44 milioni di dollari. Dopo un breve boom, la stessa sorte sta toccando anche alla pesca commerciale dei ricci di mare viola. Sì, perché con la scomparsa delle foreste di kelp, scompare anche il loro principale nutrimento e quindi sono destinate a morire di fame. Con un gesto in direzione dell’oceano, Steven Rumrill, esperto di molluschi alla Oregon Wildlife Agency, riassume la situazione così: “immaginatevi tutti questi piccoli ricci di mare che stanno crescendo, ognuno cercando cibo, cercando cibo disperatamente. Stanno letteralmente morendo di fame là fuori”.

Siamo al Tipping Point?

Tipping Point è un concetto sviluppato per la prima volta dall’economista americano e Premio Nobel Thomas Schelling, un termine difficile da tradurre esattamente in italiano, ma che comprende i concetti di “punto critico”, “punto di svolta” e “punto di non ritorno”.  Il concetto è semplice e può essere illustrato con la preparazione del popcorn: si versa un po' di olio in una padella e si aggiunge una manciata di chicchi di mais, poi si mette la padella sulla placca. La padella si riscalda, ma all’inizio non succede nulla. Solo dopo alcuni minuti, quando l’olio ha raggiunto una temperatura di 163°C il primo chicco scoppia. Il motivo è che il chicco di mais ha un involucro estremamente duro e stabile. Al suo interno è invece composto da tenero amido con una forte componente di acqua. Riscaldandosi quest’acqua si trasforma in vapore, facendo aumentare la pressione nel chicco fino a quando, sopra i 163°C, il suo involucro  scoppia, trasformandolo nel popcorn che conosciamo. Quel che è importante è che si tratta di un processo chimico-fisico irreversibile.

Anche gli ecosistemi terrestri e marini hanno un certo grado di resilienza, ossia una certa capacità di adattarsi ai cambiamenti, ma, superato il “tipping Point”, crollano in modo improvviso e irreparabile. È quello che sembra stia succedendo alle barriere coralline e ora anche alle foreste di kelps, con conseguenze incalcolabili anche per la sicurezza alimentare dell’uomo.

Quel che fa il riccio di mare viola nelle foreste di kelp, nei boschi di conifere lo fa il bostrico

Nelle immense foreste situate nella parte occidentale degli Stati Uniti e del Canada è in corso un fenomeno simile. Qui una serie di inverni particolarmente miti ha provocato un’esplosione della popolazione di varie specie di bostrici, insetti che hanno distrutto oltre 180'000 km2 di boschi di conifere, una superficie equivalente ai 2/3 di quella dell’Italia. Il bostrico è un insetto che depone una cinquantina di uova bene al riparo sotto la corteccia dell’albero. Fino a qualche anno fa questo insetto produceva due generazioni all’anno, in altri termini da un insetto femmina sopravvissuta allo scorso inverno ne nascevano 25 nella prima generazione e altre 625 entro la fine dell’anno. Ora la stagione vegetativa s’è allungata e i bostrici arrivano a produrre fino a tre generazioni all’anno, ossia 15'625 femmine. Tradizionalmente gli inverni freddi distruggevano gran parte di questi insetti e quindi il danno da loro provocato rimaneva limitato. Oggi invece, con gli inverni sempre più caldi, la maggioranza sopravvive arrecando danni enormi. Anche da noi in Europa i danni da bostrico aumentano in modo esponenziale, ad esempio in Germania, dove nel 2014 solo il 6% delle conifere abbattute lo furono a causa dei bostrici, questa percentuale è salita nel 2018 a oltre il 27% e le perdite subite dai silvicoltori si contano oramai in miliardi di Euro.