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Riscaldamento climatico: superato il punto di non ritorno?

Articolo del 15 giugno 2019

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Secondo gli esperti dell’IPCC (il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) il permafrost avrebbe dovuto iniziare a sciogliersi in modo massiccio solo a partire dal 2090, ma secondo le ultimissime notizie esso si sta squagliando proprio ora, anche in profondità, vanificando le previsioni fatte finora sull’evoluzione del riscaldamento climatico.

In questi ultimi giorni le notizie allarmanti sul riscaldamento climatico si stanno accavallando. È di ieri la notizia secondo cui l’altro ieri, in un solo giorno (!), s’è sciolta in Groenlandia una massa di ghiaccio pari a due miliardi di tonnellate (2 km3). Di oggi invece è la notizia secondo cui in questo inizio di secolo il permafrost dell’Artico sta fondendo a un ritmo del 240% superiore a quanto registrato negli ultimi decenni del 20° secolo. Quel che preoccupa in particolare i climatologi è che il permafrost sta fondendo anche in profondità, in strati del sottosuolo in cui questo fenomeno era previsto soltanto a partire dal 2090, cioè fra 70 anni.

Anche al polo Sud il ghiaccio si scioglie molto più rapidamente del previsto

Anche le notizie che ci giungono dall’Antartide non sono migliori. Secondo i dati registrati da Cryosat-2, il satellite dell’Agenzia Spaziale Europea che misura quotidianamente il volume di ghiaccio ai poli del nostro pianeta, e che sono stati presentati recentemente al Living Planet Symposium di Milano, la fusione della banchisa antartica s’è accelerata negli ultimi 10 anni in modo allarmante e nell’Oceano Antartico occidentale quasi un quarto della banchisa è oramai instabile. Secondo gli ultimissimi rilevamenti, lo spessore di questa banchisa s’è assottigliato negli ultimi anni in talune regioni addirittura di più di 120 metri. Va detto che lo scioglimento della banchisa, che non è altro che ghiaccio che galleggia sulla superficie del mare, non ha alcun influsso sull’aumento del livello degli oceani. Essa impedisce tuttavia ai grandi ghiacciai continentali di scivolare verso il mare e quelli, una volta in movimento, sì che faranno salire il livello dei mari.

Il permafrost si trasforma in acquitrini

Il rapido scioglimento del permafrost nel grande Nord del continente americano e in Siberia ha dal canto suo conseguenze immediate per le popolazioni che ci vivono. Infatti con lo scioglimento del permafrost il terreno diventa instabile, facendo sprofondare strade, ferrovie e costruzioni. Nelle zone in cui gli studiosi hanno effettuato i loro rilevamenti i terreni si sono abbassati di quasi un metro, trasformandosi in immensi acquitrini e non solo. Lo scioglimento del permafrost, che in certe regioni è aumentato negli ultimi anni addirittura di un fattore 6, provoca anche un aumento massiccio dell’erosione delle zone costiere, le quali, in alcune giornate del periodo estivo, arretrano addirittura all’incredibile velocità di un metro in 24 ore! Infatti grossi pezzi di terreno costiero reso friabile dallo scioglimento del ghiaccio che contiene, si staccano e cadono in mare, dove vengono spazzati via in poche ore dalle onde. Va notato che lo scorso mese di maggio è stato in Siberia il più caldo di sempre con picchi di addirittura 29°C.

Scioglimento del permafrost = aumento del metano

Ma il pericolo più grave rappresentato dallo scioglimento del permafrost è l’aumento del tenore di metano nell’atmosfera. Il metano è un potente gas a effetto serra, con un impatto 28 volte superiore a quello del CO2 e che può persistere nell’atmosfera fino a 100 anni. Immense quantità di questo gas sono intrappolate nel permafrost e negli idrati di metano depositati sui fondali marini delle regioni polari. Secondo il Professor Grant Allen, un fisico dell’atmosfera dell’Università di Manchester che lavora al Global Methane Budget Projec, nei soli ultimi 5 anni la concentrazione di metano nell’atmosfera è aumentata del 50%. L’ipotesi è che le temperature crescenti, oltre allo scioglimento del permafrost, riattivino anche le comunità di microbi che trasformano la materia organica in metano. Se le emissioni di metano dovessero quindi continuare crescere al ritmo attuale, ben presto i nostri sforzi volti a limitare il global warming diminuendo il CO2 si troverebbero azzerati dall’incremento dell’effetto serra provocato dal metano. Secondo il professor Allen, questo fenomeno è veramente più che preoccupante, perché si tratta di un “feedback” naturale che sfugge al nostro controllo.

Va notato che il permafrost del nostro pianeta contiene sotto forma di metano (CH4) il doppio del carbonio (C) contenuto attualmente nell’atmosfera sotto forma di anidride carbonica (CO2). Ecco perché sempre più scienziati sono convinti che, se non reagiamo subito in modo rapido e radicale, finiremo col perdere la battaglia contro il riscaldamento globale.