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Cosa hanno a che fare i cornetti di Casimiro con il riscaldamento climatico

Articolo del 10 agosto 2019

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Mentre l’IPCC lancia l’allarme sulla mancanza di sostenibilità dell’agricoltura industriale, il mondo agricolo nostrano è già confrontato agli effetti del riscaldamento climatico

Cosa c’è di meglio nella stagione calda di una buona e genuina insalata di cornetti freschi? In estate, ogni sabato mattina quando il tempo lo permette, inforco la mia bicicletta e mi reco in via Sottomontagna a Giubiasco da Casimiro Remondi, un simpaticissimo contadino, e riempio le mie due borse da bici di frutta e verdura fresca a chilometro zero. Così è stato anche la scorsa settimana, ma sulla bancarella di Casimiro di cornetti neanche l’ombra. “Come mai?” Gli ho chiesto. “sono andati distrutti dal caldo”, mi ha risposto, “quest’anno non c’è proprio verso di farli fruttificare: i primi che ho seminato sono stati distrutti dall’ondata di calore di giugno, poi ne ho seminati nuovamente, ma anche questi sono andati distrutti dall’ondata di calore di luglio, e adesso ci sto riprovando, magari ne avremo a settembre”.

Ecco dunque che anche il mondo agricolo nostrano è arrivato nell’era del riscaldamento climatico. Appena una settimana fa l’IPCC, il Gruppo intergovernativo dell’ONU sul cambiamento climatico, ha pubblicato un allarmante e voluminoso rapporto che riassume oltre 7000 studi di un centinaio di ricercatori sull’impatto del riscaldamento climatico sulla sicurezza alimentare. Fenomeni meteorologici estremi rendono infatti le filiere alimentari sempre più fragili e vulnerabili.

Nel rapporto si legge tra l’altro che l’agricoltura intensiva e la deforestazione sono all’origine del 23% delle emissioni di gas a effetto serra. Se a queste si aggiungono poi anche le emissioni provocate dalla produzione di fertilizzanti, dal trasporto, dalla trasformazione e dalla vendita dei prodotti agricoli, si arriva addirittura al 29%, ossia quasi un terzo delle emissioni globali. Va notato che dall’inizio degli anni ’60, non solo la popolazione mondiale è aumentata in modo drammatico (eravamo appena 3 miliardi nel 1960 e ora siamo quasi in 8), ma che anche il consumo di calorie pro capite è aumentato di un terzo e che il consumo per persona di carne e olii vegetali è addirittura più che raddoppiato.

La crescita demografica e i cambiamenti delle abitudini alimentari hanno provocato un’espansione incontrollata delle zone agricole e l’uso sempre più intensivo di fertilizzanti, diserbanti e pesticidi per aumentarne la produttività e per nutrire gli immensi allevamenti di bovini, di maiali e di polli. Il risultato: oggi ¼ dei terreni liberi da ghiaccio si trovano oramai in vari stadi di degrado, come erosione, perdita di fertilità, perdita di copertura vegetale e desertificazione. Negli ultimi 60 anni la superficie di terreni aridi è aumentata di oltre il 40% e conseguentemente la loro produttività agricola s'è ridotta. Secondo l'IPCC le regioni in via di desertificazione sono dimora di mezzo miliardo di persone. La conseguenza di tutto ciò è un rifornimento in derrate alimentari sempre più precario, con all'orizzonte carestie di dimensioni colossali..

Ecco perché l’IPCC ha lanciato un appello per un’agricoltura più sostenibile. Solo così si potrà infatti garantire un’alimentazione sufficiente anche alle generazioni future. Le nostre campagne giocano infatti un ruolo vitale nel ciclo del carbonio, se da un lato rilasciano nell’atmosfera grandi quantità di gas a effetto serra, dall’altro li assorbono. In altre parole, l’agricoltura è parte del problema del riscaldamento climatico, ma può anche essere parte della sua soluzione.