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Le cattive notizie della scorsa settimana su clima e ambiente

Articolo del 09 giugno 2019

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Trump impone alla sua amministrazione di allentare i limiti all’inquinamento e di nascondere agli americani la verità sul riscaldamento climatico, un riscaldamento che potrebbe costare nei prossimi 5 anni alle maggiori industrie mondiali la bella somma di un trilione di dollari. E infine anche nel Mediterraneo è nata un’isola di plastica.

Make America dirty again

Il mondo al contrario: 17 costruttori di automobili hanno espresso la loro forte preoccupazione per l’eccessiva deregolamentazione dell’amministrazione Trump nell’ambito delle norme sull’inquinamento degli autoveicoli. Come si sa, Donald Trump ha messo alla testa delle amministrazioni responsabili in campo ambientale alcuni suoi zeloti, che, come lui, negano il global warming e ritengono le norme anti-inquinamento troppo severe. Alcuni costruttori di automobili avevano in un primo tempo incoraggiato Trump a riavvolgere la spirale del tempo e ad abolire le severe norme anti-inquinamento introdotte dal suo predecessore Barak Obama. Ora tuttavia 17 costruttori di automobili, fra cui giganti come Ford, General Motors, Toyota, Honda e Volkswagen, hanno chiesto al presidente di fare marcia indietro e di rinunciare ad abbassare le norme anti-inquinamento. Essi temono infatti una frammentazione eccessiva del mercato dell'auto che arrischierebbe di compromettere la loro competitività. La California, che già oggi dispone di norme più severe del resto degli Stati Uniti, e oltre una dozzina di altri stati americani sono infatti decisi a ricorrere alla giustizia per fermare alla “deregulation” di Trump. Ciò rappresenterebbe un vero e proprio incubo per i costruttori, i quali, non solo sarebbero costretti in tal caso a diversificare le loro gamme di autoveicoli, ma si vedrebbero pure confrontati a un *lungo periodo di instabilità e di confronti giudiziari”. Infatti un quadro giuridico chiaro e stabile è essenziale per garantire a lungo termine gli investimenti dell'industria. Le discussioni in merito con l’amministrazione Trump erano iniziate lo scorso anno, ma la casa Bianca le ha interrotte unilateralmente lo scorso febbraio.


La Casa Bianca mette la museruola ai suoi scienziati

La Casa Bianca ha vietato a un’agenzia dei servizi segreti che dipende dal Dipartimento di Stato di consegnare al Congresso una testimonianza scritta sui possibili effetti catastrofici del riscaldamento climatico provocato dall’uomo. A riferirlo è il Washington Post nella sua edizione dello scorso venerdì. La Casa Bianca fa sapere che ad opporsi sarebbero stati l’Ufficio per gli affari legislativi, il Management Office e il Consiglio nazionale di sicurezza.

Rod Schoonover, ex professore di chimica e biochimica alla California Polytechnic State University, aveva ottenuto il permesso di testimoniare di fronte a una commissione d’inchiesta del Congresso, a condizione di non rivelare ai deputati le parti del documento oscurate dai dipartimenti sopracitati. Si trattava di citazioni riguardanti ricerche di enti statali, quali la NASA e la NOAA, la National Oceanic and Atmospheric Administration

Schoonover, da buon scienziato, piuttosto che raccontare mezze verità, ha preferito rinunciare alla sua testimonianza.

Clima: danni in vista per quasi 1'000 miliardi di $

Il CDP, conosciuto anche sotto il nome Carbon Disclosure Project, è una rete di investitori, fornitori e acquirenti di cui fanno parte anche banchieri centrali, industriali e gruppi di pressione preoccupati dai crescenti rischi cui è confrontato il settore finanziario mondiale per via del riscaldamento climatico. Le 115 compagnie commerciali che fanno riferimento al CDP dispongono d’un potere d’acquisto di 3,3 trilioni di dollari (1 trilione = 1'000 miliardi), mentre i 525 investitori che pure fanno capo a CDP dispongono di attivi per un ammontare di 96 trilioni di dollari. Ebbene il CDP ha pubblicato un rapporto secondo cui il riscaldamento globale potrebbe causare nei prossimi 5 anni danni ai suoi membri per un ammontare di 970 miliardi di dollari. Secondo il rapporto i rischi legati al riscaldamento del clima stanno crescendo drasticamente soprattutto a causa del forte aumento di eventi meteorologici estremi, quali: siccità, incendi di foreste e super-uragani

C’è un’isola di plastica anche nel Mare Mediterraneo

L’isola in questione si situa tra l'Elba e la Corsica ed è lunga decine di km e densa il doppio di quella del Pacifico. Siamo oramai entrati nell’antropocene, l’era geologica in cui non sono più disastri naturali, quali le eruzioni vulcaniche e la deriva dei continenti, oppure eventi cosmici, quale l’impatto di meteoriti ,a plasmare il nostro mondo, ma siamo noi stessi a farlo. Nascono così nuove montagne, come quella di plastica di Ghazipur, a nord est di Delhi, una montagna di rifiuti alta quanto il Taj Mahal e che cresce al ritmo di 10 metri all'anno, oppure, appunto, la nuova isola di plastica fra la Corsica e l’isola d’Elba.

Il fatto è che oggi produciamo ogni anno 350 milioni di tonnellate di plastica. Negli anni ’50 del secolo scorso ne producevamo soli 2 milioni all’anno. La metà della plastica che produciamo oggi è monouso e ha la forma di migliaia di miliardi di buste di plastica, di bicchieri, tazze, cannucce, cotton fioc, ecc. Solo un magro 9% di questa plastica viene riciclata, il 12% viene bruciata, incrementando le emissioni di CO2, e tutto il resto finisce nelle discariche e nella natura. Ma la plastica è uno dei materiali meno biodegradabili che esistono. Si calcola che, a seconda del tipo di plastica, occorrano alla natura dai 100 ai 500 anni per venirne a capo.

La Svizzera consuma il triplo di plastica di altri paesi europei, ma ne ricicla il 30% in meno. Il fatto è che il nostro paese non ha nessun piano per ridurre la quantità di rifiuti di plastica. Ecco quanto ha dichiarato Elisabeth Maret, portavoce dell’Ufficio Federale dell’ambiente:

«Il governo può vietare prodotti solo se i danni da loro arrecati all’ambiente non sono giustificabili. Visto che un divieto di tali prodotti arrecherebbero un grave pregiudizio alla libertà di commercio, dovrebbero sussistere motivi molto impellenti per emettere un tale divieto»