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Plastica: una produzione fuori controllo

Articolo del 27 marzo 2019

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Il governo di Donald Trump si mette di traverso anche ai tentativi di limitare la dispersione della plastica nell’ambiente marino 

Non sono pochi i delegati alla Conferenza mondiale sull’ambiente di Nairobi che sono rientrati in questi giorni a casa frustrati. Dopo lunghi ed estenuanti negoziati gli Stati Uniti sono riusciti ad imporre all’ONU delle risoluzioni non vincolanti all’acqua di rose per quel che concerne il problema della dispersione della plastica negli ambienti marini.

Mentre praticamente tutto il resto del mondo si concentra sulle radici del problema, ovvero l’eliminazione o perlomeno la riduzione delle plastiche monouso, gli USA, appoggiati da Arabia Saudita e Cuba, hanno insistito pesantemente per ridurre il problema a una semplice questione di eliminazione dei rifiuti. Si è dunque negoziato per ore sulle parole da inserire nei comunicati finali. Il termine “phasing out” (eliminazione graduale) è così stato sostituito con “significantly reducing” (riduzione significativa) e gli obiettivi concreti sono stati rimandati dal 2025 al 2030. Va notato che, anche volendo risolvere il problema della plastica con un sistema efficace di riciclaggio, il problema non sarebbe risolto, visto che il 40% della popolazione mondiale nemmeno sa cosa sia un sistema di smaltimento dei rifiuti.

Eppure Norvegia, Giappone e Sri Lanka avevano presentato proposte concrete per un accordo giuridicamente vincolante per le nazioni  e per coordinare le misure contro la marea di rifiuti di plastica e le microplastiche che finiscono negli oceani. L’unico trattato in materia stipulato finora, il cosiddetto MARPOL del 1988, vieta alle navi di scaricare i rifiuti di plastica in mare. Con i tempi che corrono veloci come quelli moderni, si tratta di un trattato oramai quasi preistorico. Infatti oggi i rifiuti di plastica che finiscono in mare provengono solo per il 20% da navi e pescherecci, gli altri 80%, ossia 8 milioni di tonnellata di plastica all’anno, provengono dalla terraferma e sono trasportati in mare dai fiumi e dal vento

Stilare dei trattati globali, lo si sa, non è cosa facile. Per stilare quello destinato a proteggere l’uomo dall’inquinamento col mercurio ci sono voluti oltre 10 anni. Così numerosi ministri che erano giunti nella capitale keniota nella speranza di tornare a casa con in tasca un bel trattato per la protezione della vita marina dalla plastica, se ne sono tornati delusi.

Il fatto è che il problema della plastica sta assumendo proporzioni sempre più drammatiche. In questi ultimi anni l’industria della plastica è cresciuta enormemente. La metà della plastica prodotta finora lo è stata dopo il 2005 e si prevede un ulteriore raddoppio della produzione nei prossimi vent’anni. Attualmente il 40% della plastica prodotta è plastica monouso.

Sono 127 i paesi che hanno varato finora delle legislazioni volte a limitare o vietare l’uso di sacchetti di plastica. 27 paesi hanno pure vietato le plastiche monouso come piatti, stoviglie o cannucce. L’india, con 1,3 miliardi di abitanti il secondo paese più popoloso al mondo, si prepara a vietare la vendita di tutti i prodotti monouso in plastica a partire dal 2022 e il parlamento europeo si appresta a conferire forza di legge alla direttiva europea per il divieto delle plastiche monouso a partire dal 2021