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Il primo ambientalista

Articolo del 07 marzo 2019

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Nel 1866 moriva nella riserva indiana di Suquamish il capo grande indiano Noah Seattle, colui che può essere considerato il primo ecologista dell’epoca moderna


Il porto di Seattle, nello stato americano di Washington, è uno degli importanti crocevia del commercio marittimo fra Stati Uniti e i paesi asiatici situati sull’altro versante dell’Oceano Pacifico. Pochi sanno che la città ha ricevuto il suo nome in onore di Noah Seattle (Si'ahl nella lingua indiana Lushootseed), il capo delle tribù indiane dei Duwamish e dei Suquamish, che popolavano la regione prima dell’arrivo dei bianchi. Come tanti altri capi indiani, Seattle fu costretto a “vendere” il territorio abitato dalle sue tribù al governo degli Stati Uniti e ciò in cambio di una riserva indiana. Seattle è diventato celebre per la lettera che scrisse al presidente degli Stati Uniti Franklin Pierce nel 1855, della quale sono note solo trascrizioni postume, ma grazie alla quale è stato inserito nel Pantheon degli ecologisti come primo ambientalista dell’epoca moderna.

Ecco i principali estratti della sua lettera

“Il Grande Capo di Washington, ci informa che desidera comprare la nostra terra. Il Grande Capo ci ha anche assicurato circa la sua amicizia e benevolenza nei nostri confronti. Questo è gentile da parte sua, perché noi sappiamo che non necessita della nostra amicizia. Rifletteremo sulla sua offerta, perché sappiamo che, se non lo facciamo, l’uomo bianco verrà a prendersi le nostre terre con le armi. Il Grande Capo di Washington, può confidare in quello che il Capo Seatle dice, con la stessa certezza con la quale i nostri fratelli bianchi, possono confidare nell’alternanza delle stagioni durante gli anni. La mia parola è come le stelle, esse non impallidiscono mai.

Come potete voi comprare o vendere il cielo, il calore della terra? Quest’idea ci sembra strana. Se noi non possediamo la freschezza dell'aria, lo scintillio dell'acqua sotto il sole, come potete voi acquistarli? Ogni palmo di questa terra è sacra per il mio popolo. Ogni lucente ago di pino, ogni riva sabbiosa, ogni velo di nebbia nei nostri fitti boschi, ogni radura, ogni ronzio d’insetti è sacro nel ricordo e nell'esperienza del mio popolo. La linfa che scorre negli alberi porta con sé il ricordo dell'uomo rosso. Noi siamo una parte della terra e la terra è parte di noi. I fiori profumati sono i nostri fratelli. Il cavallo, la grande aquila sono i nostri fratelli. La cresta rocciosa, il verde dei prati, il calore dei pony e l'uomo appartengono tutti alla stessa famiglia. L'acqua scintillante che scorre nei torrenti e nei fiumi non è solamente acqua, è qualcosa di immensamente più significativo: è il sangue dei nostri padri. I fiumi sono nostri fratelli, ci dissetano quando abbiamo sete, sostengono le nostre canoe e sfamano i nostri figli.

Se vi vendiamo le nostre terre, voi dovrete ricordarvi e insegnare ai vostri figli che i fiumi sono i nostri e i vostri fratelli e dovrete dimostrare per i fiumi lo stesso affetto che dimostrate a un fratello. Sappiamo che l'uomo bianco non comprende i nostri costumi. Per lui una parte di terra vale l'altra, perché è come uno straniero che arriva di notte e alloggia nel posto che più gli aggrada. La terra non è sua sorella, anzi è sua nemica, e quando l'ha conquistata va oltre, più lontano. Lascia dietro di sè la tomba di suo padre, senza rimorsi di coscienza. Tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, come se fossero semplicemente delle cose da acquistare, prendere e vendere, come si fa con i montoni o con le pietre preziose. Il suo appetito divorerà' tutta la terra e a lui non resterà che il deserto.

Agli occhi dell'uomo rosso la vista delle vostre città è un tormento. Non esiste un posto per vedere le foglie germogliare e i fiori sbocciare in primavera, o per ascoltare il fruscio delle ali di un insetto. Il baccano delle vostre città è un affronto per le mie orecchie. Che specie di vita è quella in cui l’uomo non può udire la voce del corvo o il dialogare delle rane nella notte? Ma forse non posso capire perché sono solo un selvaggio. L’indiano preferisce il soave sussurrare della brezza sullo specchio d’acqua, preferisce l’odore dell’aria purificata dalla pioggia mattutina o profumata dalle pigne del pino. Per noi uomini rossi l’aria è preziosa, perché tutti gli esseri viventi, animali, alberi e uomini respirano la stessa aria. L'uomo bianco non sembra far caso all'aria che respira, egli è insensibile ai cattivi odori.

Se dovessimo accettare di vendervi le nostre terre, dovrete ricordarvi che per noi l'aria è preziosa, che l'aria divide il suo spirito con tutti quelli che fa vivere. Il vento che ha dato il primo alito al nostro Grande Padre è lo stesso che ha raccolto il suo ultimo respiro. Se noi vi venderemo le nostre terre voi dovrete guardarle in modo diverso, dovrete considerarle sacre e vederle come un posto in cui anche l'uomo bianco possa andare a gustare il vento reso dolce dai fiori dei prati. Se decideremo di accettare la vostra proposta io porrò una condizione: l'uomo bianco dovrà rispettare gli animali che vivono su queste terre come se fossero suoi fratelli, perché cos'è l'uomo senza gli animali? Se tutti gli animali sparissero, l'uomo morirebbe di una grande solitudine nello spirito, poiché ciò che accade agli animali prima o poi accadrà anche all'uomo. Tutte le cose sono legate tra loro. Dovrete insegnare ai vostri figli che il suolo che essi calpestano è fatto delle ceneri dei nostri padri. Affinché i vostri figli rispettino questa terra, dite loro che essa è arricchita dalle vite della nostra gente e insegnate loro quello che noi abbiamo insegnato ai nostri figli, ossia che la terra è la madre di tutti noi.

Tutto ciò che di buono arriva dalla terra, arriva anche ai figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra, sputano su loro stessi. La terra non appartiene all'uomo, è l'uomo che appartiene alla terra. Tutte le cose sono legate fra loro, come il sangue che unisce i membri della stessa famiglia. Tutto ciò che si fa per la terra lo si fa per i suoi figli. Non è l'uomo che ha tessuto le trame della vita: egli ne è soltanto un filo e tutto ciò che egli fa alla trama, lo fa a sé stesso.

Dopo che l’ultimo pellerossa sarà partito e il suo ricordo sarà solo l’ombra di una nuvola che passa sulla prateria, l’anima del mio popolo continuerà a vivere in queste foreste e su queste spiagge, perché noi le abbiamo amate come un neonato ama il battito del cuore della sua mamma. Se vi venderemo la nostra terra, amatela come noi l’abbiamo amata. Proteggetela come noi l’abbiamo protetta e non scordate mai com’era quando ne prendeste possesso e, con tutta la vostra forza, tutto il vostro potere e tutto il vostro cuore, conservatela per i vostri figli.”.

E noi, della terra, che cosa ne abbiamo fatto?

In neanche una manciata di generazioni abbiamo portato l’intero pianeta sull’orlo del collasso. Abbiamo dato l’avvio a una catastrofe climatica che, se non fermata, assumerà dimensioni bibliche. Abbiamo gioiosamente inquinato campi, torrenti, fiumi, laghi e mari con erbicidi, pesticidi e con miliardi di tonnellate di plastica. Abbiamo avvelenato l’aria che respiriamo con ogni sorta di gas e di polveri sottili. In meno di cent’anni abbiamo disboscato i due terzi del pianeta e fatto fuori la metà delle specie animali e vegetali. In Europa, negli ultimi 30 anni, abbiamo fatto sparire il 75% degli insetti e oltre il 60% degli uccelli. Nel nostro piccolo, in Svizzera, asfaltiamo o cementifichiamo ogni secondo un metro quadrato di natura, una superficie che equivale a ben 10 campi da calcio al giorno!.