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La California porta in tribunale i giganti del petrolio

Articolo del 20 settembre 2023

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Lo stato americano della California ha citato in giudizio cinque delle più grandi compagnie petrolifere del mondo per danni ambientali che ammontano a miliardi di dollari, accusandole di "diffondere attivamente disinformazione"

Si chiamano ExxonMobil, Shell, BP, ConocoPhillips e Chevron, le 5 multinazionali del petrolio accusate di aver diffuso sistematicamente informazioni false concernenti i rischi associati all’uso di combustibili fossili e questa volta non sono stati privati a portarle in tribunale, bensì lo stato della California. "Per oltre 50 anni, i giganti del petrolio ci hanno mentito e hanno nascosto il fatto che da tempo sono al corrente di quanto siano pericolosi per il nostro pianeta i combustibili fossili che producono", ha dichiarato il governatore della California Gavin Newsom, aggiungendo che la California intende "confrontare i grandi inquinatori alle le loro responsabilità".

Oltre alle 5 multinazionali del petrolio, lo stato della California ha incriminato anche l'American Petroleum Institute, la principale organizzazione professionale statunitense nel campo della petrolchimica, un’associazione che distribuisce annualmente oltre 200,000 pubblicazioni e che funge anche da lobbysta per conto delle industrie americane del petrolio, della chimica e del gas fossile.

Stando alla denuncia presentata al tribunale di San Francisco, i dirigenti delle compagnie petrolifere e del gas "sapevano da decenni che la dipendenza dai combustibili fossili avrebbe portato a questi risultati disastrosi". Ciò nonostante hanno nascosto queste informazioni al pubblico e ai politici e hanno diffuso attivamente per decenni “disinformazione sull'argomento", provocando "costi enormi per le persone, le proprietà e le risorse naturali", e si legge ancora nell’atto di accusa consegnato al tribunale "Sminuendo il consenso scientifico sul cambiamento climatico ed enfatizzando l'incertezza, gli imputati speravano di ritardare qualsiasi azione normativa" da parte dello stato.

La causa intentata dallo stato della California contro Big Oil mira a creare un fondo per coprire i costi miliardari dei danni causati dal surriscaldamento del clima, come incendi e inondazioni.

Big Oil non manifesta un’oncia di senso di colpa

In una prima reazione dell’industria petrolifera, Ryan Meyers, vicepresidente dell'American Petroleum Institute, ha affermato che il compito dell'industria è quello di fornire "energia americana affidabile e a prezzi accessibili ai consumatori statunitensi, riducendo al contempo in modo sostanziale le emissioni e la nostra impronta ambientale", compito che secondo lui adempierebbe pienamente. E ha aggiunto: "Questa continua e coordinata campagna di cause legali irragionevoli e politicizzate contro un'industria fondamentale per l’America e i suoi lavoratori non mira ad altro che a distrarre da problemi nazionali più importanti e rappresenta un enorme spreco di risorse dei contribuenti californiani. La politica climatica deve essere discussa e decisa dal Congresso, non dal sistema giudiziario".

Come vedremo di seguito, si tratta di una reazione che ricorda molto da vicino quella dell’industria del tabacco che, pur essendone perfettamente al corrente, negò per decenni gli effetti deleteri del fumo sulla salute, finanziando studi pseudo-scientifici e campagne elettorali di politici contrari a una maggiore tassazione delle sigarette e lanciando costose campagne pubblicitarie a favore del consumo di tabacco, sforzi tutti mirati a favorire la vendita di sigarette e a promuovere i propri interessi commerciali e finanziari.

Big Oil era già perfettamente al corrente fin dagli anni ’60 del pericolo rappresentato dai suoi prodotti per il clima del nostro pianeta

Il 28 ottobre 2021, una sottocommissione del Congresso degli Stati Uniti ha interrogato i dirigenti di Exxon, BP, Chevron, Shell e dell’American Petroleum Institute sugli sforzi intrapresi dall'industria del petrolio per sminuire il ruolo dei combustibili fossili nel surriscaldamento del clima. Darren Wood, membro del consiglio d’amministrazione di Exxon, ha giurato davanti ai parlamentari che le dichiarazioni pubbliche della sua azienda "sono sempre state e continuano ad essere veritiere" e che l'azienda "non diffonde disinformazione riguardo al cambiamento climatico".

Si tratta di un’affermazione è chiaramente contraddetta da numerosi documenti, come ad esempio i verbali di una conferenza sul petrolio tenutasi alla Columbia University di New York nel 1959, verbali che contengono fra l’altro il discorso di Edward Teller, il celebre fisico padre della bomba all'idrogeno, in cui metteva in guardia i dirigenti dell'industria petrolifera e gli altri presenti alla conferenza sul pericolo del surriscaldamento del clima. Teller spiegò testualmente: "Ogni volta che si brucia un carburante convenzionale, si produce anidride carbonica. Nell'atmosfera questo gas provoca un effetto serra" e aggiunse che se il mondo avesse continuato a utilizzare combustibili fossili, le calotte glaciali avrebbero iniziato a sciogliersi, facendo aumentare il livello dei mari, e che alla fine, "tutte le città costiere finiranno sott’acqua".

Era il 1959, prima del primo sbarco sulla Luna, prima che i Beatles pubblicassero la loro prima canzone, prima che Martin Luther King pronunciasse il suo celebre discorso "I Have A Dream" e prima ancora che venisse prodotta la prima moderna lattina di alluminio.

Ma non è tutto: nel 1965, in occasione dell’assemblea annuale dell’American Petroleum Institute, il suo presidente Frank Ikard, proprio lui, commentando una rapporto sull’ambiente pubblicato qualche giorno prima dai consiglieri scientifici dell'allora presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson, affermò che "una delle previsioni più importanti del rapporto è che la combustione di carbone, petrolio e gas naturale sta immettendo anidride carbonica nell'atmosfera in misura tale che, intorno all'anno 2000, il bilancio termico sarà così alterato da provocare significativi cambiamenti climatici".

Alla fine degli anni ’70, spaventato dalle prospettive poco rosee per il proprio business, l'American Petroleum Institute creò un comitato segreto chiamato “CO2 and Climate Task Force”, che comprendeva i rappresentanti di tutte le grandi compagnie petrolifere, per monitorare e discutere segretamente gli ultimi sviluppi nell’ambito della scienza sul clima. Nel 1980, questa Task Force invitò lo scienziato John Laurmann dell'Università di Stanford per aggiornarla sugli sviluppi in campo climatologico. Nella sua presentazione Laurmann avvertì che se si fosse continuato a utilizzare i combustibili fossili, attorno al 2005 il riscaldamento globale sarebbe stato "appena percettibile", ma che attorno al 2060 avrebbe avuto "effetti catastrofici a livello mondiale". Da notare che nello stesso anno, l'American Petroleum Institute invitò i governi a triplicare la produzione globale di carbone, affermando che non ci sarebbero state conseguenze negative e ciò nonostante il fatto che nelle direzioni delle multinazionali delle energie fossili si fosse perfettamente al corrente dei pericoli.

EXXON, SHELL e TOTAL lanciarono programmi di ricerca segreti

Nel frattempo Exxon aveva infatti incaricato un gruppo di esperti interni di valutare in gran segreto i pericoli rappresentati dai combustibili fossili. Nel 1981, Roger Cohen, uno dei manager di Exxon dell'epoca, inviò una nota interna ai suoi colleghi di direzione in cui si leggeva nero su bianco che i piani commerciali a lungo termine dell'azienda avrebbero potuto avere "effetti che saranno effettivamente catastrofici (almeno per una parte significativa della popolazione mondiale)".

L'anno successivo, gli esperti di Exxon completarono un rapporto interno di 40 pagine che prevedeva quasi esattamente la quantità di riscaldamento globale che stiamo vivendo attualmente, nonché l'innalzamento del livello del mare, le siccità e altro ancora. Nella prima pagina di questo rapporto si legge che esso "sarà ampiamente distribuito all'interno del management di Exxon", ma che "non sarà distribuito all'esterno". Questo rapporto è dunque rimasto segreto per più di 30 anni, oggi sappiano della sua esistenza grazie a un gruppo di giornalisti investigativi che lo hanno scovato nel 2015.

Exxon non è stata l’unica multinazionale del petrolio a studiare in gran segreto la questione, anche gli specialisti della multinazionale olandese Shell completarono nel 1986 un rapporto confidenziale di quasi 100 pagine, in cui si affermava che il surriscaldamento del clima dovuto all'uso di combustibili fossili avrebbe portato ai più grandi cambiamenti della storia umana, tra cui inondazioni distruttive, l'abbandono di interi paesi e migrazioni forzate. Anche questo rapporto segreto è stato scoperto solo nel 2018 grazie a un giornalista investigativo olandese.

Idem per la multinazionale francese Total i cui dirigenti erano perfettamente a conoscenza dei pericoli rappresentati dal surriscaldamento del clima fin dagli anni ’70. Lo studio segreto realizzato dagli esperti di Total è stato scoperto da due giornalisti francesi soltanto nel 2021.

Big Oil ha finanziato per anni gruppi e studi di pseudo-esperti volti a seminare dubbi sul cambiamento climatico.

Nel 1989 l'industria dei combustibili fossili ha creato la cosiddetta "Coalizione Globale per il Clima". Ma contrariamente a quello che il suo nome potrebbe far credere, non si trattava affatto di un gruppo ambientalista; al contrario, questa coalizione ha lavorato sistematicamente per seminare dubbi sul cambiamento climatico e ha esercitato forti pressioni sui parlamentari per sabotare l’attuazione del trattato internazionale sulla protezione del clima e per bloccare sul nascere le legislazioni volte a favorire le energie rinnovabili.

Oggi, confrontate all’evidenza dei disastri causati dal surriscaldamento del clima, la maggior parte delle compagnie petrolifere evita di mettere in dubbio apertamente il fatto che il clima si sta riscaldando, ma continua tuttora ad opporsi strenuamente, a forza di lobbying, a qualsiasi iniziativa volta a ridurre il consumo di combustibili fossili e continua sempre a investire massicciamente nell’estrazione di questi combustibili.

Gli investimenti nell’estrazione di combustibili fossili continuano a crescere

Quest’anno, secondo gli analisti, gli investimenti nel settore dei carburanti e dei combustibili fossili (petrolio, gas e carbone) dovrebbero crescere più del 6%, per un ammontare globale di ben 950 miliardi di dollari. Il fatto è che, per raggiungere gli obiettivi climatici previsti dall'Accordo sul clima di Parigi, il consumo di energie fossili non dovrebbe aumentare, bensì diminuire globalmente del 6% all'anno, e più precisamente il consumo di carbone dovrebbe essere ridotto dell'11%, quello di petrolio del 4% e quello di gas del 3%, e ciò ogni anno. Le compagnie attive in questo campo prevedono invece di aumentare la produzione di questi combustibili in media del 2% all'anno almeno fino al 2030. Ma si sa che, non per nulla, il petrolio viene anche chiamato l’oro nero. Nel 2022 le sole 6 maggiori compagnie petrolifere, quelle che gli americani chiamano le supermajors, hanno realizzato profitti per quasi 220 miliardi di dollari, più del doppio dell’anno precedente, e hanno versato la cifra record di 110 miliardi di dollari in dividendi e riacquisti di azioni, rinunciando a reinvestire questi superprofitti nella transizione energetica. Stando all’Agenzia Internazionale dell’Energia, gli investimenti nelle energie rinnovabili e nello stoccaggio del carbonio da parte di queste compagnie rappresentano attualmente meno del 5% dei loro investimenti totali e nessuna delle principali compagnie petrolifere s’è finora a impegnata ridurre la propria produzione di petrolio e di gas prima del 2030.