Notizie negative

Surriscaldamento del clima e crollo della biodiversità non sono problemi politici

Articolo del 05 luglio 2023

Clicca sul tag per altri articoli

Il crollo della biodiversità e il surriscaldamento del clima riguardano la nostra sopravvivenza sul lungo termine. Essi diventano però un tema politico perché una destra becera, più interessata alla difesa dei propri interessi economici acquisiti che al progresso, si oppone alla scienza. 

Questo lunedì, 3 luglio 2023, è stato a livello mondiale il giorno più caldo della storia. Secondo la NOAA, l'Amministrazione Oceanografica e Meteorologica degli Stati Uniti, sul nostro pianeta è stata misurata una temperatura media di 17,01 gradi centigradi, con ciò è stato superato il precedente record di 16.92°C, registrato il 24 luglio dell’anno scorso. Questo nuovo record è durato tuttavia appena 24 ore, martedì è stato infatti registrato un nuovo record, ossia 17.2°C. Già all’inizio di giugno, Copernicus, il programma europeo di osservazione della terra, aveva misurato le temperature medie globali più alte mai registrate per quel periodo dell’anno. Da settimane, il sud degli Stati Uniti soffre di un'ondata di calore senza precedenti, mentre in Canada sono andati in fiamme 80'000 chilometri quadrati di foreste. Anche in Cina, dove il mercurio ha superato i 40°C è stata lanciata l’allerta rossa per una canicola senza precedenti. In India le temperature hanno toccato i 45°C e in Antartide, dove nota bene attualmente è inverno, presso la stazione polare ucraina Vernadsky, si sono misurati addirittura +8,7 gradi.

“Il termometro non è né di destra né di sinistra”

Sono passati più di 200 anni da quando il fisico e matematico francese Jean Baptiste Joseph Fournier teorizzò per la prima volta l’esistenza dell’effetto serra, ma a portarne la prova sperimentale definitiva fu 34 anni più tardi una donna americana appassionata di scienza: Eunice Newton Foote. Infatti la Newton Foote intraprese tutta una serie di esperimenti sull’interazione della radiazione solare con i diversi gas atmosferici, fra cui ossigeno, idrogeno e anidride carbonica, scoprendo che di quelli testati l’anidride carbonica, ossia il CO2, intrappolava la maggior quantità di calore. I risultati della ricerca di Eunice Newton Foote furono presentati l’8 agosto del 1856 al meeting annuale dell’Associazione Americana per l’Avanzamento della Scienza in un memoriale letto dal professor Joseph Henry, perché all’epoca in queste assemblee le donne non avevano diritto di parola. Il suo studio fu però pubblicato pochi mesi dopo nell’American Journal of Science and Arts. Citiamo: “Un’atmosfera di questo gas darebbe alla nostra Terra una temperatura elevata; e se, come qualcuno suppone, in un periodo della sua storia, l’aria ha contenuto una percentuale maggiore di quella attuale, deve necessariamente aver determinato una temperatura più alta”. Gli esperimenti della Newton Foote furono confermati tre anni dopo da un altro fisico, l’irlandese John Tyndall, che sembra non fosse stato a conoscenza dei risultati del lavoro della fisica americana.

È l’effetto dei gas serra a rendere possibile la vita sul nostro pianeta, ma troppi di questi gas arrischiano di renderlo invivibile

Infatti, se non fosse per quella piccolissima quantità di CO2 presente nell’atmosfera, la temperatura media sul nostro pianeta sarebbe glaciale, ossia in media di -18°C. Ma il CO2 non è l’unico gas a effetto serra, ve ne sono altri, fra cui in particolare il metano, il cui effetto serra è circa 25 volte più potente del CO2 e che è responsabile di circa il 20% dell’effetto serra globale. Ricordiamo che le concentrazioni di gas serra nell'atmosfera sono indicate per l’anidride carbonica in ppm (numero di molecole di CO2 per un milione di molecole d'aria), mentre per il metano (CH4) sono indicate in ppb (numero di molecole di metano per un miliardo di molecole d'aria). Ebbene, da quando è iniziata l’era industriale le concentrazioni nell’atmosfera di questi gas a effetto serra hanno iniziato ad aumentare in modo sempre più rapido. Per capire la portata del fenomeno sul lungo termine, basta ricordare che nel 1750, all’inizio dell’era industriale quando, cioè quando s’è iniziato ad utilizzare combustibili e carburanti fossili, la concentrazione di CO2 nell’atmosfera era di 278 ppm, mentre oggi si situa a 424 ppm, con un aumento dunque di oltre il 52%, mentre nello stesso lasso di tempo la concentrazione di metano è salita da 730 ppb a 1920 ppb, un aumento quindi del 163%. Non deve dunque sorprendere se gli ultimi 8 anni sono stati quelli più caldi mai registrati a livello mondiale, per l’Europa il 2022 e stato addirittura quello più caldo di tutti in assoluto.

Il corollario di quest’aumento dei principali gas a effetto serra si elenca come segue: ondate di calore sempre più torride, ghiacciai che fondono a vista d’occhio, livello degli oceani che sale sempre più in fretta, uragani sempre più violenti e devastanti, periodi di siccità sempre più lunghi ed estremi accompagnati da un corteo di giganteschi incendi. Tutto ciò succede esattamente come previsto dai modelli sviluppati dai climatologi. Chi nega ancora oggi il riscaldamento climatico, adducendo ipotetici complotti mediatici o di non meglio specificate lobby, va considerato alla stessa stregua di chi crede che la terra sia piatta, di chi nega lo sbarco sulla luna, di chi crede alle scie chimiche o che il cancro possa essere curato con la camomilla.

La sola cura possibile è l’abbandono della maggiore fonte di emissioni di CO2, ossia i combustibili e i carburanti fossili

Nel nostro paese il 70% dell’energia consumata è di origine fossile, si tratta essenzialmente di Benzina e diesel utilizzati nel traffico stradale, e di nafta e gas fossile utilizzati nei riscaldamenti e negli impianti industriali. Ciò significa dunque elettrificare ogni aspetto della nostra vita moderna, passando in modo rapido alle energie rinnovabili, ossia all’eolico, al fotovoltaico, all’idroelettrico e alla biomassa. Per quel che concerne l’idroelettrico la Svizzera è messa bene. Non così per l’eolico e il fotovoltaico. Con il suo magro 0.3% di elettricità prodotta col vento, il nostro paese è addirittura il fanalino di coda in Europa. A titolo di paragone, nel 2022 l’Unione Europea ha prodotto il 16% della sua elettricità tramite turbine eoliche e un altro 6.8% tramite il fotovoltaico.

Nel nostro paese a frenare la transizione energetica è l’UDC

Dopo aver combattuto strenuamente tutte le leggi volte a frenare il surriscaldamento del clima, non è certamente un caso se l’UDC, per frenare anche il dispiegamento dell’eolico nel nostro paese, si scopre ora improvvisamente anche paladina della protezione del paesaggio, della biodiversità e dell’imperioso “diritto dei residenti locali ad essere ascoltati”, in chiaro ad opporvi il loro veto. Curiosamente per l’UDC questi non sono mai stati dei problemi quando s’è trattato di espandere la rete autostradale, di costruire centrali nucleari, di creare nelle campagne estese aree industriali e grandi centri commerciali. Sarà magari anche vero che le pale di ogni turbina eolica uccidono in media tre uccelli all’anno, ma da un monitoraggio approfondito condotto negli Stati Uniti, munendo gatti domestici di minuscole telecamere, si sa che questi felini ne uccidono ciascuno fra i 4 e i 18 all’anno. In Svizzera i gatti domestici sono ben 1,6 milioni. Essi uccidono dunque tra i 6.4 e i 28.8 milioni di uccelli all’anno. Nei loro confronti i 15'000 uccelli che potrebbero morire nelle collisioni con le 5'000 turbine eoliche che sarebbe possibile costruire in Svizzera (sempre che vengano effettivamente costruite) rappresentano solo briciole. Da notare poi che, stando a una ricerca pubblicata recentemente nel PNAS-Magazine della National Academy of Sciences degli Stati Uniti, all’origine del crollo della fauna aviaria non sono di certo qualche migliaio di impianti eolici, bensì la nostra agricoltura intensiva col suo uso sconsiderato di erbicidi e di pesticidi, che negli ultimi decenni hanno trasformato le nostre campagne in veri e propri deserti verdi in cui è oramai spesso difficile udire il ronzio di un’ape.

Ma come è stato ampiamente dimostrato nella campagna contro la Legge Clima, quando si tratta di proteggere gli interessi delle lobby del petrolio e del gas e di silurare nuove leggi a protezione del clima e dell’ambiente, per l’UDC tutto fa brodo, anche le Fake News più ridicole.

Gli interessi acquisiti mettono a repentaglio il nostro benessere futuro

Ostacolare il progresso è solo una parte della strategia dell’UDC. La seconda consiste nel tacciare la trasformazione dell’economia verso una maggiore sostenibilità di attacco frontale alla prosperità. Questa strategia trova espressione anche nella stampa, con titoli stile "Come l'eco-mafia sta distruggendo la nostra prosperità". L'obiettivo di questa battaglia di retroguardia è prima di tutto la difesa dei propri interessi immediati e in secondo luogo distrarre l’attenzione dalla propria mancanza di volontà di ripensare la nostra prosperità materiale, in modo da riuscire a garantire un mondo degno di essere vissuto anche alla generazione dei nostri figli e nipoti.

Per garantire loro un futuro, l'obiettivo di tutti noi dovrebbe essere quello di creare un’economia circolare, un’economia che si basi sulle energie rinnovabili, che utilizzi le risorse in modo oculato, che sia rispettosa del clima e della biodiversità, che produca cibi sani e che non inquini. In altri termini una società basata sulla scienza e sull’efficienza, in cui la qualità ha la priorità sul profitto; una società solidale, in cui le nuove tecnologie vengono impiegate in modo intelligente per ridurre le dipendenze.

Da sempre il mondo, anche quello economico, è stato in costante evoluzione. Ciò che occorre conservare non sono dunque certamente gli interessi acquisiti. Quel che deve essere invece assolutamente conservato sono le fondamenta della nostra prosperità, ossia un clima vivibile, la biodiversità e la fertilità della terra. Ciò richiede certamente più immaginazione, spirito d’iniziativa e lungimiranza di quanto la destra indigena sia in grado o disposta ad offrire.

Dibattiti sbagliati

Per realizzare un'economia di questo tipo abbiamo bisogno dei giusti dibattiti, dibattiti che al momento attuale assumono purtroppo spesso contorni grotteschi. Per esempio non potremmo permetterci il 10% del territorio lasciato allo stato naturale, ma possiamo senza batter ciglio destinare il 30% delle nostre derrate alimentari al macero, vedi spreco alimentare. Non potremmo rinunciare alle auto con motore a scoppio, ma la maggioranza dei produttori di automobili ha già annunciato che intende vendere solo auto elettriche entro il 2030 (qualche ritardatario entro il 2035). Invece di aumentare massicciamente la produzione di elettricità col fotovoltaico e coll’eolico, si propone di aumentare la produzione di combustibili “rinnovabili”, come pellet, biogas, biodiesel, ecc., ma per far questo si distruggono foreste, proprio quelle di cui avremmo bisogno per riassorbire il CO2 in eccesso che abbiamo immesso nell’atmosfera nel corso dell’ultimo secolo. Da notare che se le foreste del Borneo sono date alle fiamme per far posto alle piantagioni di palme da olio, una tonnellata di olio prodotto da queste palme provoca emissioni di CO2 da dieci a trenta volte superiori di quelle che si produrrebbero utilizzando una tonnellata di diesel.

Per conservare il nostro benessere occorre cambiare sistema

È dunque giunto il momento di rendersi conto che il vero attacco alla nostra prosperità proviene da coloro che si oppongono alle misure volte alla salvaguardia del clima e dell’ambiente, da coloro che si oppongono alla svolta energetica e a una nuova politica industriale, in altri termini da coloro che diffidano della scienza e che si oppongono al cambiamento. Per illustrare questo fatto basta prendere l’esempio dell’industria automobilistica tedesca, che per anni s’è riposata sugli allori puntando completamente sul motore a scoppio, di cui è stata il campione incontestato. Ebbene la manovra non ha funzionato. Infatti in Cina, nel mercato automobilistico più importante e innovativo del mondo, i produttori tedeschi detenevano nel segmento delle auto con motore a scoppio ancora una quota di mercato superiore al 20%, ora in quello elettrico, quello che segnala la crescita maggiore, la loro quota è crollata a un misero 1%.

La perdita definitiva della prosperità

Il settore industriale non sarà l’unico a subire duri contraccolpi qualora non saprà adattarsi rapidamente ai cambiamenti in corso, anche quello agricolo arrischia di precipitare in una crisi epocale.  In molte parti del mondo si può infatti osservare come la natura, un tempo fonte di prosperità e di benessere, si sta progressivamente trasformando in un freno alla prosperità, come ad esempio in Spagna dove la siccità sta facendo crollare la produzione agricola, come pure in Italia, dove siccità e inondazioni non solo impattano sulla produzione agricola ma causano pure enormi danni alle zone abitate e a quelle industriali, o in Cina, paese oramai privo di insetti, dove l’impollinazione dei frutteti deve essere effettuata manualmente da lavoratori sottopagati, oppure ancora nel Mar Baltico, dove l’inquinamento da concimi azotati ha fatto crollare del 75% gli stock di aringhe e ha di conseguenza messo in crisi l’intera industria della pesca. La situazione è particolarmente allarmante per quel che concerne l’agricoltura industriale, i cui rendimenti sono stagnanti a causa di terreni sempre più impoveriti che richiedono un utilizzo crescente di fertilizzanti e pesticidi, facendo così lievitare i costi. La nostra agricoltura moderna si basa infatti su un modello che si sta autodistruggendo.

"Ci restano 50 raccolti!"

Queste drastiche parole non sono state pronunciate da qualche sfegatato ambientalista, bensì dalla responsabile del settore agricolo della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura. La FAO stima infatti che un terzo di tutti i terreni agricoli sono già oggi degradati a causa dell'erosione, della compattazione e dell'impermeabilizzazione del suolo, della salinizzazione, della diminuzione di humus, dell'acidificazione, dell'inquinamento da pesticidi ed erbicidi e di altri processi causati da pratiche non sostenibili di gestione del territorio. Da notare che per formare un solo centimetro di humus, a seconda della regione, possono essere necessari fino a 1000 anni, e che, a meno che non venga adottato un nuovo approccio, nel 2050 i metri quadrati di terreno agricolo produttivo disponibili per persona saranno solo un quarto rispetto a quelli che avevamo a disposizione 60 anni fa.

Cosa c’entra la biodiversità con la qualità dei terreni agricoli

Il fatto è che almeno un quarto della biodiversità mondiale vive nel sottosuolo, dove, ad esempio, i lombrichi, assieme a migliaia di altre specie di animali microscopici e a numerosissimi altri organismi, come batteri e funghi, provvedono a mantenere in funzione il ciclo della fertilità e aiutano le piante ad assorbire i nutrienti, sostenendo in questo modo anche la biodiversità in superficie. Per illustrare questo fatto con un’immagine, basta ricordare che quello che vediamo di un albero, ossia il tronco, i rami, le foglie e i fiori, sono solo la sua metà. L’altra metà si trova nascosta nel sottosuolo sotto forma di radici e di decine di chilometri di miceli dei funghi che con l’albero vivono in simbiosi e che gli permettono di assorbire il nutrimento di cui ha bisogno per prosperare.

Una buona gestione del suolo permette non solo di mantenerne la fertilità e di frenare la desertificazione, ma assicura pure che questi organismi, solitamente inosservati e poco conosciuti, possano assorbire almeno in parte il carbonio in eccesso prodotto dal consumo di carburanti e combustibili fossili della nostra società industriale. Val la pena qui ricordare che la quantità di carbonio immagazzinata globalmente nell’humus del suolo è valutata a circa quattro volte quella presente sotto forma di CO2 nell’atmosfera. Ecco perché occorre anche un programma efficace per la protezione del suolo, un programma che permetta alla comunità agricola di tornare ad assolvere pienamente il suo ruolo primordiale, che è quello di produttore di cibo sano, di materie prime sostenibili e di servizi ecosistemici. Solo così la natura potrà tornare ad essere fonte di prosperità.  

Lottare per mantenere lo status quo come lo fa l’UDC non significa dunque affatto consolidare le fondamenta della nostra prosperità, bensì ne accelera il declino e si convertirà presto un boomerang. In questo senso, l’UDC s’è trasformata essa stessa nell'ultima generazione.