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10% dell’ossigeno che respiriamo è prodotto da un solo tipo di batteri oceanici e questi sono minacciati dalla plastica

Articolo del 18 maggio 2019

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La plastica, il prodotto più onnipresente della nostra società globalizzata, imbratta gli oceani, danneggia la vita animale, alimenta il riscaldamento climatico e ora compromette anche la produzione di ossigeno.

Pochi di noi saprebbero rispondere alla domanda “dove si trovano le Cocos Islands?”, Ebbene le Isole Cocos o Isole Keeling, abitate da una comunità di origine malese di 600  anime, sono un minuscolo arcipelago sotto amministrazione australiana, costituito da soli due atolli e da 27 isole coralline, situato nel bel mezzo dell’Oceano Indiano, circa a metà strada tra l’Australia e lo Sri Lanka. Ma perché parliamo delle Cocos Islands? Perché sulle loro spiagge sono stati rinvenuti oltre 414 milioni di oggetti in plastica per un peso complessivo di 238 tonnellate, fra cui 977'000 scarpe e 373'000 spazzolini da denti, senza contare le centinaia di migliaia di bottiglie di plastica, di cannucce, di posate, di cotton fioc, di buste di plastica, ecc.

Ad effettuare lo studio, pubblicato nella rivista scientifica Nature, sono stati ricercatori diretti dalla dottoressa Jennifer Lavers, una esperta eco-tossicologa dell’Institute of Marine and Antarctic Studies dell’Università della Tasmania. Lavers, che ha pure effettuato nel 2017 uno studio analogo nelle isole Henderson, situate nel Pacifico sud-orientale, fa notare che le isole che si trovano nelle regioni più remote del nostro pianeta, sono ideali per valutare la quantità di plastica che galleggia nei nostri oceani. La ricerca ha rivelato in particolare che la plastica seppellita nei soli primi 10 centimetri di sabbia delle spiagge delle Cocos supera di ben 26 volte quella visibile in superficie.

La plastica non inquina solo i mari ma alimenta pure il riscaldamento climatico

La plastica, in particolare sotto forma di microplastiche, la troviamo oramai dappertutto: nei fiumi, nei laghi, nei mari, nei ghiacciai delle Alpi e dell’Antartide, nell’acqua piovana, in quella potabile e addirittura nelle nostre feci. Tutti hanno già visto in televisione le immagini raccapriccianti di cadaveri di uccelli marini, tartarughe marine, delfini e balene con lo stomaco pieno di detriti di plastica, ma pochi sanno che la plastica non solo inquina, ma è pure una fonte importante di CO2 (vedi grafico sopra), anzi, addirittura la seconda fonte di CO2 per importanza e quella che cresce più rapidamente, come rivela il CIEL, il Center of International Environmental Law. Secondo le previsioni, entro il 2050 la plastica sarà responsabile del 10-13% delle emissioni di CO2, il che equivale al massimo della quantità di CO2 che la nostra civiltà industriale può ancora emettere, se intende restare al disotto del riscaldamento climatico globale di 1,5°C.

Il fatto è che la maggior parte della plastica, incluse le resine, le pitture e le fibre come il nylon, è prodotta a partire da combustibili fossili. Produzione, trasporto, uso ed eliminazione della plastica generano ingenti emissioni di CO2. Si stima che oggi a livello mondiale il solo incenerimento dei rifiuti di plastica nei termovalorizzatori produca 850 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Nei prossimi 10 anni la media di queste emissioni dovrebbe salire a 1,34 miliardi di tonnellate all’anno, l’equivalente delle emissioni di CO2 di quasi 300 centrali elettriche a carbone da 500 megawatt ciascuna.

La plastica impatta anche sulla capacità degli oceani ad assorbire il CO2

Secondo i ricercatori del CIEL vi sono prove sempre più numerose che le microplastiche ingerite dal plancton diminuiscono la sua capacità di assorbire CO2. Il plancton è infatti alla base del ciclo oceanico del carbonio e contribuisce in modo determinante all’assorbimento del CO2 atmosferico, facendo poi precipitare il carbonio sui fondali degli oceani. Secondo gli esperti, senza il plancton degli oceani, il tenore di CO2 nell’atmosfera sarebbe oggi più elevato del 30-50% e con esso, ovviamente, anche l’effetto serra.

La plastica uccide i batteri che producono l’ossigeno che respiriamo

Secondo una ricerca appena pubblicata dalla rivista scientifica Nature Communications Biology, l’inquinamento degli oceani con microplastiche minaccia l’ecosistema marittimo in modo ancora molto più subdolo. Infatti negli oceani vivono dei batteri della famiglia dei cianobatteri, chiamati Prochlorococcus, i quali praticano, come le piante, la fotosintesi producendo il 10% dell’ossigeno che respiriamo. In altri termini assorbono il CO2, estraendone il carbonio di cui necessitano per crescere e liberando nell’aria l’ossigeno di cui non hanno bisogno. I ricercatori dell’università australiana di Macquarie hanno dunque sottoposto questi cianobatteri in laboratorio a diverse concentrazioni di microplastiche, confrontando i risultati con culture di cianobatteri allevati in acque prive di microplastiche. La scoperta allarmante è che, più è grande la concentrazione di microplastiche, meno bene crescono i batteri. A concentrazioni di microplastiche particolarmente elevate i Prochlorococcus muoiono. Analizzando in fenomeno più da vicino i ricercatori hanno potuto stabilire che in presenza delle tossine sprigionate dalle microplastiche ampie porzioni del genoma dei batteri, in particolare quelle responsabili della fotosintesi, cessano di funzionare. Per intanto non si sa quali sono gli additivi delle plastiche (ve ne sono centinaia di diversi) sono responsabili del fenomeno, ma quel che è possibile dire fin d’ora è che si tratta di un fenomeno che potrebbe avere a termine degli effetti dirompenti sulla vita della terra.