Più il clima si riscalda, più gli oceani diventano acidi
13.03.2019
Notizie negative
Articolo del 28 luglio 2019
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La canicola senza precedenti che ha colpito l’Europa nella settimana appena trascorsa facendo cadere come birilli i record di temperature in Francia, Germania, Belgio e Olanda, si è allontanata in direzione dell’Artico, pronta a causare nuovi disastri.
Quest’estate i servizi meteorologici dell’Europa centrale hanno segnalato temperature mai registrate prima d’ora: in Germania il nuovo record è stato di 42,6°C, in Belgio di 40,7°, nei Paesi Bassi di 40,7°C, Parigi con i suoi 42,4°C ha superato di ben 2°C il precedente primato che datava del 1947, la Gran Bretagna ha battuto con 38,7° il precedente record che datava dalla torrida estate del 2003. Anche la Svizzera ha sudato parecchio: giovedì a Basilea si sono registrati 37,4°C, a Würenlingen 37,3, a Leibstadt 37,2°.
Gli scienziati hanno messo in guardia dal riscaldamento climatico già 40 anni fa
Nel 1979, mentre l’opinione pubblica mondiale si agglutinava attorno ai televisori per assistere al primo sbarco dell’uomo sulla luna, un gruppo di 10 illustri climatologi, l’Ad Hoc Group on Carbon Dioxide and Climate, si riunì per la prima volta alla Woods Hole Oceanographic Institution nel Massachusetts per discutere e mettere a punto quello che più tardi sarà chiamato il Charney Report: la prima perizia completa sul riscaldamento climatico causato dalle emissioni di CO2 della nostra civiltà industriale.
Il premio Nobel Svante Arrhenius aveva già calcolato nel lontano 1896 come sarebbero cambiate le temperature nel caso di un raddoppio del tenore di CO2 nell’atmosfera e i suoi calcoli di allora sono tuttora validi. Negli ultimi 800'000 anni si sono succedute ben 8 epoche glaciali intercalate da altrettanti periodi caldi interglaciali, ma il tenore di CO2 nell’atmosfera non ha mai superato i 280 ppm (parti per milione). Nel 1950 questa concentrazione ha superato per la prima volta la soglia dei 300 ppm e non deve quindi sorprendere se proprio in quegli anni vi furono diversi scienziati che suonarono il campanello d’allarme, mettendo in guardia da un riscaldamento dell’atmosfera di diversi gradi, qualora si fosse continuato a bruciare carburanti fossili. Nel 1972 John Sawyer, il capo della ricerca del Meteorological Office britannico, pubblicò uno studio nella prestigiosa rivista scientifica Nature in cui si prevedeva un aumento della temperatura globale del nostro pianeta di 0,6°C entro la fine del ventesimo secolo, ossia sull’arco di meno di 30 anni. Il Charney Report fu tuttavia il primo studio collettivo sul clima ed è e rimane un esempio di eccellente ricerca scientifica, visto che quanto prevedeva per i quaranta anni successivi s’è puntualmente avverato.
4 decenni persi a far nulla
Nei 40 anni trascorsi dalla profetica seduta dell’Ad Hoc Group on Carbon Dioxide and Climate la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è infatti aumentata come previsto del 21% (era di 415 ppm lo scorso mese di maggio, 3,5 ppm in più dello stesso mese dell’anno precedente), mentre la temperatura media di aumentava di 0,66°C, ossia quasi esattamente di quanto prevedeva il rapporto, in cui si spiega tra l’altro che il raddoppio del tenore di CO2 nell’atmosfera provoca un aumento della temperatura di 2,5°C. In ambito scientifico il Charney Report ebbe fin da subito un’ottima accoglienza, non così purtroppo in ambito politico, dove ancora fino a ieri una maggioranza di governanti continuava a minimizzare il pericolo.
I nodi vengono al pettine
Ora però gli effetti del cambiamento climatico cominciano a farsi sentire in modo brutale e le cose potrebbero cambiare abbastanza rapidamente. Sono nella fresca memoria di tutti gli enormi roghi della California, la spietata siccità e canicola della scorsa estate dell’emisfero australe, ossia in America del Sud, nel Sudafrica e in Australia ed ora anche quelle altrettanto brutali nell’emisfero Nord, dove si sono registrati oltre 50°C in Pakistan, in India e nella penisola arabica ed ora anche numerosi primati di temperatura in Europa, nel Nord America e nell’Artide, regione quest’ultima dove le temperature sono quest’anno di ben 10°C al disopra della normale. Tutto ciò senza contare i numerosi devastanti uragani che hanno colpito in questi ultimi anni il Nord America, le Filippine e il Mozambico, per citarne solo alcuni.
18 mesi di tempo per cambiare rotta
Se purtroppo i 4 decenni persi a far nulla non si potranno recuperare, si dovrà almeno tentare di evitare il peggio. Gli esperti in materia di clima sono infatti estremamente allarmati e ritengono che ci rimangono a malapena 18 mesi di tempo per invertire la rotta. Se non riusciamo a stoppare la crescita delle emissioni di CO2 entro la fine del 2020 e a ridurle del 50% entro il 2030, la catastrofe climatica è garantita e il 2019 ci rimarrà in memoria come l’anno più fresco dei prossimi 100. Così come siamo messi ora, siamo infatti avviati dritti dritti verso +3°C e non verso +1,5°C , come preconizzato dagli accordi di Parigi.
Secondo il professore emerito Hans Joachim Schellnhuber, fondatore del Potsdam Climate Institute e autore di oltre 250 articoli e di decine di libri scientifici, "la matematica climatica è brutale. Il mondo non potrà certamente guarire entro i prossimi anni, ma potrebbe essere ferito in modo mortale per negligenza entro il 2020”.