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Obiettivo “Zero CO2 nel 2050”. Troppo poco e troppo tardi

Articolo del 23 luglio 2021

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Raggiungere l’obiettivo di zero emissioni di gas a effetto serra entro il 2050 è troppo tardi per evitare la catastrofe climatica. Basta guardare alle mortali ondate di calore in Nord America, alle catastrofiche inondazioni in Europa, ai devastanti incendi in Amazzonia e in Siberia e alle inondazioni in Cina per rendersi conto di quanto velocemente il clima si stia deteriorando

Il fallimento dei governi della stragrande maggioranza dei paesi nell'agire su scala e alla velocità richieste per stoppare il surriscaldamento del clima non è solo un innocuo errore di valutazione: si tratta di un fallimento pericoloso e spesso mortale. La realtà è che le agende climatiche dei nostri parlamenti e dei nostri governi non offrono nemmeno una frazione delle politiche di cui avremmo bisogno per porre termine al surriscaldamento del clima. Attualmente un lieve calo delle emissioni è percettibile soltanto nel campo della produzione di energia elettrica. Infatti in questi ultimi anni s’è iniziato ad eliminare gradualmente il carbone, sostituendolo sempre più spesso con il fotovoltaico e l’eolico, due fonti di energia rinnovabile oramai molto meno care di quelle fossili. Si tratta di una transizione certo importante, ma ancora troppo lenta e che passa completamente inosservata alla maggior parte della popolazione. Le misure che invece impatteranno direttamente su quasi ogni aspetto della nostra vita quotidiana, ossia quelle che toccano il modo in cui riscaldiamo le nostre case, il modo in cui ci spostiamo su terra, sull'acqua e nell’aria, in cui produciamo a livello industriale e persino quali tipi di cibo mangiamo, ebbene, di queste misure non si vede finora nemmeno l’ombra.  

A frenare sono soprattutto le lobby di “Big Oil”

Ogni qual volta che si chiede il punto di vista dei cittadini su quel che occorrerebbe fare per porre termine al surriscaldamento del clima, la maggioranza risponde che occorrerebbe fare di più, in modo più deciso e più velocemente. È quando occorre poi tradurre questa volontà in azioni concrete che le cose si guastano e che entrano in gioco le lobby del petrolio, le quali paventano il collasso dell’economia. Stando al rapporto di InflunceMap del 2019, ExxonMobil, Chevron, Bp, Shell e Total, le cinque major del petrolio, hanno speso ufficialmente in Europa in soli 3 anni poco meno di un miliardo di euro per fare pressioni sui politici e sull’opinione pubblica contro le politiche a protezione del clima. S'è calcolato che  2010 al 2018 queste cinque società petrolifere hanno speso più di 123 milioni di euro solamente per finanziare le azioni di lobbying nei confronti dei legislatori europei. A questa somma vanno aggiunti altri 128 milioni spesi da 13 gruppi legati al settore del petrolio e del gas, il che fa complessivamente 251 milioni spesi soltanto per fare pressione sulle istituzioni dell’Unione Europea.

Solo la punta dell’iceberg

Queste cifre provengono dal “Registro per la trasparenza” adottato dall’UE nel 2011, un sistema di registrazione dove ogni impresa può inserire su base volontaria dati, spese, dipendenti, investimenti, incontri e aree d’interesse delle proprie attività di lobbying a Bruxelles. Come detto si tratta di un registro redatto su base volontaria e non monitorato da parte delle istituzioni europee. Esso non tiene conto delle omissioni, delle dichiarazioni solo parziali o di quelle irrealisticamente basse, effettuate dalle ditte che accettano di compilarlo. Stando alle associazioni ambientaliste questo report rappresenta dunque solo la punta dell’iceberg di questo tipo di lobbying, anche perché l’intera industria dei combustibili fossili è molto più vasta delle cinque principali società petrolifere. Per citare un altro esempio di lobbismo: dal 2010 al 2018 la sola Enel (multinazionale italiana) ha speso circa 11 milioni di euro in attività di lobbying legate alle politiche europee sull’energia, sul clima, sulla qualità dell’aria, sulla riforma del sistema di scambio di quote di emissione di CO₂ e sull’ambiente in generale.

Portare l’UE e gli stati su false piste per proteggere il business del petrolio e del gas

L’intento di queste compagnie petrolifere è quello di proteggere il proprio buésiness, ritardando, indebolendo e sabotando l’azione europea a protezione del clima. Per il loro lobbying utilizzano diverse strategie, come ad esempio incontri con i commissari europei (dal 2014 al 2019 le cinque maggiori società petrolifere di cui sopra hanno avuto 327 riunioni ufficiali con i commissari europei, i loro gabinetti e i loro direttori generali), il finanziamento di convegni e iniziative sul clima, fino all’offerta a politici e funzionari dell’Unione Europea di posti di lavoro ben remunerati nel settore privato e viceversa l’introduzione nell’apparato burocratico dell’UE di persone attive in precedenza nelle imprese petrolifere. Alcune imprese si sono addirittura fatte protagoniste di negazionismo del riscaldamento climatico e di disinformazione nei confronti del cambiamento climatico.

È per queste ragioni che molti piani nazionali per la protezione del clima prevedono ingenti finanziamenti pubblici a soluzioni fasulle e inefficaci, ma che servono gli interessi delle lobby delle energie fossili. Eccone solo 3 esempi:

1 - l’utilizzo massiccio del gas detto naturale, ma che in realtà è fossile, gas il quale, nonostante sia una enorme fonte di emissioni di gas a effetto serra (CO2 e metano), viene venduto come amico del clima;

2 - l’utilizzo della tecnologia della cattura del CO2 e del suo stoccaggio in pozzi petroliferi in disuso, una tecnologia, questa, non collaudata, rischiosa e molto più costosa del passaggio alle energie rinnovabili;

3 - l’investimento nelle tecnologie a base di idrogeno, cavalcando la promessa di un idrogeno verde, quando in realtà il 96% di questo gas viene attualmente ricavato da combustibili fossili e la cui produzione inquina quindi l’atmosfera alla stessa stregua del gas fossile.

Così anche quest’anno le emissioni di CO2 stanno ulteriormente aumentando e il tenore di CO2 nell’atmosfera ha oramai raggiunto i 420 ppm, ossia il 50% in più di quanto sarebbe normale (280 ppm). Continuando a questo ritmo nel 2050 vaste zone del nostro pianeta non saranno più abitabili e saremo confrontati a centinaia di milioni di rifugiati climatici (stando all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, entro il 2050 i rifugiati costretti a spostarsi dalle proprie terre per motivi climatici saranno dai 200 ai 250 milioni, con una media di 6 milioni di persone ogni anno). Ecco perché dobbiamo contrastare con tutte le nostre forze, senza se e senza ma, la lobby delle energie fossili e promuovere a tutti i livelli, anche a quello personale e locale, l’efficienza energetica e il passaggio alle energie rinnovabili. Solo così la Terra potrà rimanere un luogo ospitale per tutti.