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22.06.2019
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Articolo del 16 giugno 2019
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Tramite il cibo che mangiamo, l’acqua che beviamo e l’aria che respiriamo assumiamo 2'000 microparticelle di plastica in media alla settimana
Pesa circa 5 grammi, ossia l’equivalente di una carta di credito, la plastica che ingeriamo ogni settimana sotto forma di microplastiche, ossia all’incirca 110'000 particelle in un anno. Un kg di pesce o di frutti di mare ne contiene in media 1480, un litro di acqua minerale (in bottiglia di plastica) 95, un metro cubo d’aria una decina. Ne troviamo in abbondanza anche nella birra, nello zucchero, nel sale di mare, nel miele, ecc. La ricerca in merito è stata effettuata da un gruppo di esperti diretti da Kieran Cox, docente all’Università canadese di Victoria, e riassume i risultati di 26 studi internazionali effettuati su un totale di 3’600 campioni di cibi, bevande e aria.
Le microplastiche sono oramai presenti ovunque nel nostro ambiente
Le microplastiche sono frammenti di plastica di dimensioni inferiori a 5 millimetri prodotte ad esempio dall’abrasione dei pneumatici delle nostre automobili, dal lavaggio dei nostri vestiti in fibre sintetiche e dal degrado di oggetti in plastica, come buste, cannucce, spazzolini da denti, ecc. sotto l’influsso degli agenti atmosferici e del turbinio dell’acqua nei fiumi, nei laghi e nei mari. Ne troviamo pure in aggiunta a numerosi prodotti cosmetici e nei dentifrici, dove servono da abrasivi. La plastica, essendo un prodotto artificiale, non viene smaltita dalla natura come le altre sostanze biologiche, digerite da funghi e batteri, ma viene solo ridotta in miliardi di frammenti sempre più piccoli, che persistono in natura per centinaia di anni.
Oggi le microplastiche sono oramai presenti dappertutto, nell’acqua di falda, nei laghetti alpini, negli abissi oceanici e addirittura nei ghiacci polari. Esse inquinano ogni ecosistema de nostro pianeta. Secondo una ricerca pubblicata l’anno scorso dal prestigioso Fraunhofer Institut, poco meno di un quarto della plastica che viene dispersa nell’ambiente in Germania proviene da macro-plastiche, come ad esempio buste o bottigliette di plastica, il restante 74% viene disperso direttamente sotto forma di microplastiche.
La plastica alimenta anche il riscaldamento climatico
La plastica non solo inquina, ma è pure una fonte importante di CO2, anzi, addirittura la seconda fonte di CO2 per importanza e quella che cresce più rapidamente, come rivela il CIEL, il Center of International Environmental Law. Secondo le previsioni, entro il 2050 la plastica sarà responsabile del 10-13% delle emissioni di CO2, il che equivale al massimo della quantità di CO2 che la nostra civiltà industriale potrebbe ancora emettere se intende restare al disotto del riscaldamento climatico globale di 1,5°C.
Il problema della plastica in cifre
Ignorato il principio di precauzione
Come spesso accade nella nostra civiltà industriale, quando è in gioco il profitto dell’economia si ignora volutamente il principio di precauzione, ossia quella norma in materia di sicurezza ambientale, adottata nel 1992 a Rio de Janeiro dalla Conferenza sull'Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite, nel quale si afferma che, ove vi siano minacce di danno serio o irreversibile, l’assenza di certezze scientifiche non deve essere usata come ragione per impedire che si adottino misure effettive di prevenzione dirette a prevenire il degrado ambientale.
Non a caso l’incidenza del cancro al seno nelle donne è più che raddoppiata a livello mondiale negli ultimi 30 anni e nessuno sa perché. Nel contempo la fertilità maschile nella nostra vecchia Europa si è dimezzata e anche in questo caso nessuno sa perché. Detto ciò, non vuol dire che i due fenomeni siano legati alla plastica che immettiamo nel nostro ambiente, vuol dire semplicemente che, prima di immettere nuove sostanze nell’ambiente, sostanze con le quali la natura non è mai stata confrontata nei milioni di anni della sua evoluzione, converrebbe studiarne molto, ma molto attentamente gli effetti.