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NO secco del governo svizzero alla richiesta di divieto degli imballaggi di plastica

Articolo del 07 marzo 2019

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Il Consiglio Federale ritiene esagerata la proposta di vietare gli imballaggi di plastica per frutta e verdura, presentata dalla consigliera nazionale socialista Rebecca Ruiz e non intende obbligare i dettaglianti svizzeri a usare buste compostabili

Ogni volta che vado nel mio giardino dopo una giornata di vento, raccolgo una manciata di sacchetti e di imballaggi di plastica. Il mio giardino misura poche centinaia di m2 e m’immagino quanta altra plastica svolazza in giro. Da qualche anno incollano anche etichette di plastica su ogni banana o altro frutto che compero, diligentemente ogni volta le tolgo e le getto nella pattumiera per non inquinare di plastica anche il mio compost situato in un angolo del giardino. Ho sempre sperato che un giorno o l’altro il nostro governo o il nostro parlamento si sarebbero decisi ad agire, ma la mia pazienza è stata sprecata e il nostro governo federale ritiene che un divieto degli imballaggi di plastica per frutta e verdura nei supermercati sarebbe sproporzionato e non intende obbligare i dettaglianti a usare buste compostabili.

La plastica è oramai ovunque

Eppure i media ce lo ripetono giorno dopo giorno: la plastica, sia sotto forma di sacchetti, di bottiglie, di cannucce o di bastoncini di ovatta, sia sotto forma di microplastiche, ha oramai inquinato tutti gli ecosistemi della terra. Se ne trova in quantità colossali nella fossa delle Marianne, che con quasi 11'000 metri di profondità è il luogo più profondo della terra, se ne trova nell’Antartide e nell’Artico, vi sono 5 gigantesche isole galleggianti di plastica sparse per tutti gli oceani del mondo. Ce n’è nei nostri fiumi, nei nostri laghi, nel mediterraneo, nella terra dei nostri campi, nella falda freatica da cui pompiamo l’acqua per i nostri rubinetti. Vi sono microplastiche nel pesce e nei crostacei che mangiamo, nel sale di mare che utilizziamo nella nostra cucina, nella birra e nell’acqua che beviamo e anche nelle polveri fini dell’aria che respiriamo. Secondo chi studia il problema, pare che ognuno di noi ingerisca ogni anno in media ben 32'000 particelle di microplastica, infatti se ne trovano anche nelle nostre feci. 32.000 microscopici pezzetti di quella stessa plastica che abbiamo buttato via chissà quanti decenni fa, e che ora ci torna tutta indietro, con gli interessi che paghiamo in salute.

La plastica non si degrada

Infatti le plastiche sono polimeri artificiali che non si degradano come tutte le sostanze naturali: si rompono soltanto in pezzetti sempre più piccoli che finiscono nella catena alimentare di tutti i nostri ecosistemi, il nostro compreso. Una bottiglia di plastica gettata nella natura può rimanerci anche 500 anni perché non marcisce come ad esempio il legno, la carta o il cuoio. La degradazione avviene solo per un processo fotochimico tramite la luce solare, oppure per via degli sbalzi di temperatura o a contatto con l’acqua di mare. Molti di questi polimeri contengono sostanze tossiche per l’ambiente, come ad esempio il PVC che contiene cloro e che, degradandosi, libera lentamente nell’ambiente cloruri organici molto tossici, come le diossine.

Non abbiamo imparato nulla

Si direbbe dunque che l’umanità non ha imparato nulla dai disastri ambientali che ha causato in passato, come quello del DDT nel secolo scorso, l’insetticida che minacciò di far sparire tutti i rapaci dalla faccia della terra, oppure da quello del buco di ozono, provocato dall’uso dei cloro-fluoro carburi, i famosi CFC, come propellenti per le bombolette spray, oppure ancora dal piombo aggiunto alla benzina per far funzionare meglio i motori delle nostre automobili, il quale però, una volta entrato nel nostro organismo, provoca gravi anemie e a dosi massicce addirittura saturnismo.

Oggi soltanto le sostanze sono cambiate. Al posto del DDT, utilizziamo altri pesticidi che fanno fare una brutta fine agli insetti impollinatori. Per liberare i campi da quelle che consideriamo erbacce, utilizziamo il glifosato, impoverendo le nostre campagne al punto tale da far crollare del 75% le popolazioni di insetti e del 60% quelle degli uccelli. Invece del piombo, pompiamo ogni anno nella natura centinaia di milioni di tonnellate di plastica, così che fra 30 anni i nostri mari conterranno più plastica che pesci.

Le alternative alla plastica ci sono e altrove si agisce

Eppure le alternative ci sarebbero e alcune sono addirittura gratuite: le mele sono state vendute per millenni senza incollarci sopra etichette di plastica, le uova stanno benissimo in confezioni di cartone, la verdura può essere venduta in confezioni di plastica biodegradabile, le bottiglie sono state per oltre un secolo di vetro e conservano birra, vino e acque minerali meglio di quelle di plastica. Nei cosmetici invece, al posto delle micro-biglie di plastica convenzionale, si possono mettere micro-biglie biodegradabili e via dicendo.

Altrove si è passati all’azione, da noi no. 67 paesi hanno già introdotto legislazioni anti-inquinamento da buste di plastica. Finora 32 paesi, tra i quali 18 africani, le hanno messe addirittura al bando. Nell’elenco di questi paesi spiccano oltre alla Francia e all’Italia, il Camerun, l’India, il Kenya, la Papua Nuova Guinea e il Senegal. Il governo britannico ha dal canto suo deciso di vietare l’uso di microplastiche nei cosmetici e il parlamento europeo ha deciso con 571 voti favorevoli e 53 contrari di mettere al bando la plastica usa e getta a partire dal 2021. Spariranno così dagli scaffali dei supermercati europei prodotti in plastica come posate, bastoncini cotonati, piatti, cannucce, miscelatori per bevande e bastoncini per palloncini, che costituiscono oggi il 70% dei rifiuti di plastica che ritroviamo poi a galleggiare nei mari.

Moana, la Greta svizzera

Forse ci vorrà anche da noi una Greta Thunberg per dare la sveglia ai nostri politici e ai capitani dei nostri grandi dettaglianti. Ci sta tentando Moana, una ragazzina di 9 anni che ha scritto una lettera al direttore generale della Migros per chiedergli di far imballare in modo più ecologico il suo cracker preferito. Il breve tempo la lettera è diventata virale nei social media, incitando molti altri a seguire l’esempio di Moana.