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Cessa negli USA la costruzione di nuove centrali elettriche alimentate con combustibili fossili

Articolo del 20 giugno 2020

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All’ombra delle polemiche sulla pandemia di COVID-19, negli Stati Uniti sta accadendo qualcosa di impensabile anche solo un anno fa: il declino brutale della produzione di elettricità con combustibili fossili

“In total, the mix of all renewables will add more than 53 gigawatts of net new generating capacity to the nation’s total by April 2023. That is nearly 50 times the net new capacity of 1.1 gigawatt, projected to be added by natural gas, coal, oil, and nuclear power combined”. 

Tradotto in italiano: della capacità produttiva dei nuovi impianti di produzione di elettricità che entreranno in funzione negli Stati Uniti nei prossimi 3 anni, 53 gigawatt saranno di rinnovabili e solo 1,1 gigawatt a base di combustibili fossili (carbone, gas, nafta e nucleare), ossia un rapporto di 50 a uno per le rinnovabili. A dirlo è la FERC, la Federal Energy Regulatory Commission del Dipartimendo dell’Energia degli Stati Uniti nel suo rapporto “Energy Infrastructure Update for April 2020”. Che non si tratti di fantasie lo dimostrano le cifre appena pubblicate dello scorso mese di aprile, mese in cui il 100% delle nuove centrali elettriche entrate in funzione negli USA sono risultate istallazioni di rinnovabili.

Il fatto è tanto più sorprendente se si considera il fatto che la FERC è amministrata da dirigenti nominati da Donald Trump, incaricati di porre ostacoli al dispiegamento delle energie rinnovabili, in modo da favorire quelle fossili. Pare dunque che il mondo dei sogni di Trump non sia destinato a realizzarsi e che nel mondo reale il declino del carbone stia avvenendo in modo molto più rapido di quanto ipotizzato ancora pochi mesi or sono dalla stessa FERC. Non solo negli Stati Uniti non si costruisce più alcuna centrale a carbone, ma molte di quelle esistenti vengono chiuse anzitempo, perché lavorano in perdita. La situazione è un po' diversa per le centrali a gas e quelle nucleari. Anche in questo caso non se ne costruiscono di nuove, perché la loro costruzione è troppo cara, ma si continua per intanto a mantenere in funzione quelle esistenti.

Anche Enel si accomiata dal carbone

Da notare che l’uscita dal carbone è oramai un fenomeno planetario. Proprio di questi giorni è la notizia che Enel sta accelerando l’uscita dal carbone. Ricordiamo che Enel è una multinazionale Italiana dell’energia e che, con una produzione di elettricità di circa 220 miliardi di kWh e un fatturato annuo di oltre 74 miliardi di euro, è uno dei principali operatori globali nei settori dell'energia elettrica e del gas. Stando a Antonio Cammisecra, che dirige la divisione Global Power Generation di Enel, la società prevede ora l’uscita dal carbone entro il 2025 e ciò non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Fino a poco fa quest’uscita era prevista per il 2030. Lo scorso mese di ottobre Enel ha venduto la sua ultima centrale a carbone in Russia e in Italia la società ha appena ottenuto il permesso di chiudere un’unità da 660 MW nel suo stabilimento di Brindisi, mentre due dei suoi cinque impianti rimanenti in Spagna hanno ottenuto luce verde per la loro disattivazione. Secondo Cammisercra “Deve essere fatto. E prima lo facciamo, meglio è per tutti”. Enel intende ridurre le emissioni dirette di gas serra per ogni chilowattora di energia prodotta del 70% entro il 2030 e ridurle a zero entro il 2050. Fino alla fine del 2019, la società ha ridotto l’intensità delle emissioni di circa il 28%, a 296 g di CO2 per chilowattora. Va notato che Enel è attiva in 14 paesi europei, negli Stati Uniti e in Canada, in 10 paesi dell’America Latina, in 4 paesi africani, in India, a Singapore e in Corea del Sud, come pure in Australia e nella Nuova Zelanda.

L’addio rapido al carbone non è solo una decisione a favore del clima, ma è anche dovuta a ragioni economiche: le centrali a carbone stanno diventando sempre più un fardello nel bilancio di Enel. A causa del calo del costo delle rinnovabili, nel 2019, la società s’è infatti vista costretta a svalutare le sue attività nel campo del carbone per un ammontare di oltre 4 miliardi di euro.