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C’è anche un’energia detta “rinnovabile” che nuoce al clima

Articolo del 04 novembre 2019

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In un mondo dominato da tweed e post, dove gli approfondimenti sembrano essere diventati una perdita di tempo, non è facile spiegare che energia a zero emissioni CO2 e energia rinnovabile non sono la stessa cosa. Se vogliamo mettere un freno al surriscaldamento del clima, possiamo sfruttare solo quelle energie la cui produzione non genera CO2 e che hanno un tempo di rigenerazione sufficientemente breve

Nel 2009 l’Unione Europea ha adottato una direttiva sulle energie rinnovabili, secondo la quale anche la biomassa ricavata dalle foreste è considerata una sorgente di “energia rinnovabile”. Idem per il Ticino, dove il Piano Energetico Cantonale (PEC) prevede di moltiplicare quasi per tre l’uso di biomassa per generare energia entro il 2050. Il CO2 liberato in atmosfera dalla combustione di biomassa vegetale proviene infatti dall’atmosfera stessa e sarebbe poi riassorbito dalla crescita della vegetazione. In altri termini si tratterebbe di un’economia circolare: per crescere, le piante assorbono CO2 dall’atmosfera, poi noi bruciamo queste piante per trarne dell’energia, reimmettendo questo stesso CO2 di nuovo nell’atmosfera, da dove altre piante lo riassorbono per crescere. 

L'utilizzo di cippato e pellet esplode

Il ragionamento sembra non fare una grinza, se non che, nel corso degli anni, i sussidi generosamente versati in diversi stati per promuovere l’uso di energie rinnovabili hanno provocato la diffusione sempre più larga di cippato e di pellets, non solo per il riscaldamento domestico, ma anche per alimentare al posto del carbone le grandi centrali elettriche. Il risultato è che, per soddisfare la crescente domanda, la biomassa non è più solo ricavata dai materiali di scarto della normale lavorazione del legno, ma si ottiene oramai principalmente con il taglio di intere foreste, con volumi che raggiungono molti milioni di tonnellate all’anno. In Europa, ad esempio, il consumo di pellet è triplicato in soli 8 anni, passando da 7,4 milioni di tonnellate nel 2008 a 21 milioni nel 2016. Visto che la produzione indigena non basta più a soddisfare la domanda, l’Europa ne importa 8 milioni di tonnellate da oltre oceano, soprattutto dagli Stati Uniti e dal Canada, dove intere foreste vengono sacrificate per soddisfare la nostra nuova fame di “oro marrone”.

In natura la combustione è un fenomeno raro

Il fatto è che in natura la combustione è un fenomeno raro, che avviene solo saltuariamente, quando ad esempio un fulmine colpisce un appezzamento di bosco molto secco. Oltre il 90 degli incendi di boschi, ad esempio, sono causati dall’uomo sia volontariamente, sia involontariamente. La combustione per ottenere energia è poi una prerogativa esclusiva dell’uomo. Va precisato che la combustione, sia essa di carbone, di petrolio, di gas, o, appunto, di biomassa, produce in tempi brevissimi enormi quantità di CO2. Il riassorbimento di questo CO2 da parte della vegetazione è per contro lentissimo. 

Occorrono fino a 100 anni per rigenerare il legno che bruciamo

Un albero bruciato in poche ore ci mette da 80 a 100 anni per crescere e quindi il CO2 emesso bruciando cippato o pellet ci metterà altrettanto per essere riassorbito dalla vegetazione. Non a caso il mondo scientifico ha segnalato ripetutamente che bruciare biomassa non è affatto una sorgente di energia ad emissioni zero. Strano che i politici non ci abbiano finora mai pensato, dato che tutti sanno, che quando una foresta brucia, come recentemente in Siberia, in Amazzonia, in Alaska o in California, produce un danno enorme non solo all’ecosistema, ma anche al clima. Ora, che il bosco lo bruci un incendio, o che siamo noi a bruciarlo sotto forma di cippato o di pellet poco cambia: è sempre un bosco che brucia. Per essere considerata veramente ecologica, un’energia non deve dunque essere solo rinnovabile, occorre pure che la sua rigenerazione avvenga in tempo utile.

Gli scienziati mettono in guardia dal bruciare cippato e pellet

Sulla rivista internazionale “Global Change Biology, Bioenergy” è stato pubblicato in questi giorni un articolo che sottolinea questo grave errore, che le autorità stanno commettendo nella gestione del clima e dell’ambiente. Gli autori dell’articolo sono i 15 esperti del Panel Ambiente dell’EASAC (European Academies Science Advisory Council), l’associazione delle accademie europee che fornisce alla politica informazioni indipendenti su temi scientifici di rilevanza sociale ed economica e di cui fanno parte gli scienziati più prestigiosi del nostro continente. Gli autori fanno notare in particolare che l’energia ottenuta bruciando cippato e pellet non è un’energia rinnovabile, anche perché il suo uso non prevede la sostituzione obbligatoria degli alberi tagliati per ottenere il cippato con alberi nuovi. Per essere rinnovabile, non basta infatti che un’energia provenga da un’essenza che si rinnova, come la biomassa, perché se così fosse, per assurdo, si potrebbero addirittura considerare come rinnovabili il carbone, il petrolio e il gas, perché furono generati dalla biomassa, peccato che per questa “rigenerazione” fu necessario aspettare molti milioni di anni. Affinché il termine “rinnovabile” faccia senso occorre quindi introdurre nel calcolo anche il fattore tempo.

Bruciare legna produce più CO2 che bruciare carbone

Classificare cippato e pellet fra le energie rinnovabili è dunque un grave errore, perché consente di importare grandi quantità biomassa e bruciarla al posto del carbone nelle centrali elettriche, non soltanto sdoganando la distruzione di grandi foreste, ma azzerando paradossalmente anche le corrispondenti emissioni di CO2 nel conteggio che si fa nell’ambito degli accordi internazionali per la protezione del clima. Bruciare legname nei riscaldamenti e nelle centrali elettriche corrisponde infatti solo sulla carta a una riduzione delle emissioni, perché in realtà le emissioni rimangono le stesse almeno fino a quando la biomassa bruciata non si sarà rigenerata. I ricercatori fanno poi notare, che bruciando biomassa, nell’immediato, le emissioni di CO2 addirittura aumentano. Sì, perché la combustione del legno e il suo trasporto, a parità di energia prodotta, genera più CO2 del carbone, del petrolio e soprattutto del gas, vedi grafico sopra.

Per fermare il surriscaldamento del clima occorre smettere di produrre energia tramite processi di combustione

L’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro i 2°C e possibilmente entro gli 1.5°C, come previsto dagli accordi di Parigi, richiede la riduzione a zero delle emissioni di CO2 entro il 2050. Con i suoi tempi di rigenerazione di un centinaio di anni, la produzione di energia tramite la combustione di cippato e di pellet è chiaramente incompatibile con questo obiettivo. Negli ultimi anni EASAC ha affrontato il problema in diversi rapporti: nel 2017 con “Multi-functionality and Sustainability in the European Union’s Forests”, nel 2018 con “Forest Bioenergy and Carbon Neutrality” e quest’anno con “Forest bioenergy, carbon capture and storage, and carbon dioxide removal: an update”, senza però mai riuscire ad assicurarsi l’attenzione necessaria da parte dell’Unione Europea e dei politici. Per questa ragione i membri del Panel Ambiente hanno deciso rivolgersi a una platea più larga, pubblicando il loro articolo su una rivista scientifica. Già le iniziative per il contenimento delle emissioni di gas a effetto serra continuano ad essere largamente insufficienti, non ci possiamo dunque anche permettere che interventi, virtuosi negli intenti, abbiano effetti controproducenti.