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Salvare il pianeta dal surriscaldamento del clima è un affare
Articolo del 15 ottobre 2024
Da una ventina d'anni sappiano che la rinuncia alle energie fossili e l'elettrificazione di tutto, dalla vita privata all’economia, è l’elemento chiave per fermare il surriscaldamento del clima. Ma oggi sappiamo anche che l'economia ha tutto da guadagnarci
Le basi tecnologiche per raggiungere l’obiettivo zero emissioni sono state abbozzate dal climatologo e ingegnere statunitense Mark Zachary Jacobson con il suo modello 100% rinnovabili entro il 2050. A livello internazionale anche altri luminari di tutto il mondo si sono concentrati su questa soluzione chiave: come l’australiano Saul Griffith con i suoi lavori sull’elettrificazione, l’ex parlamentare Verde tedesco Hans-Josef Fell, fondatore dell’Energy Watch Group, una rete internazionale di scienziati e parlamentari che si occupa delle modalità per passare al 100% elettrico, l’economista ed esperto di energia turco Fatih Birol, direttore dell’Agenzia Internazionale dell’Energia e presidente del Comitato consultivo per l'energia del World Economic Forum di Davos, una personalità considerata dalle prestigiose riviste Financial Times, Forbes e Time fra le più influenti al mondo, e l’australiano Mark Diesendorf, fondatore e direttore dell’Institute for Sustainable Futures della University of Technology di Sydney.
Che dal punto di vista tecnologico la transizione energetica sia possibile oggi appare chiaro, ma quel che molti non sanno è che la transizione energetica è anche un colossale affare e che i paesi che per primi la realizzeranno avranno un vantaggio competitivo enorme sugli altri.
In caso di elettrificazione completa dell’economia e della sfera privata il fabbisogno di energia primaria calerà di quasi il 60%
Contrariamente a quanto molti credono, elettrificare tutto tramite elettricità prodotta dalle rinnovabili è molto più efficiente ed economico che consumare combustibili fossili. Infatti i 2/3 dell’energia fossile primaria impiegata nell’industria e nel privato non serve a nulla e viene semplicemente dissipata nell’atmosfera durante il processo di combustione, questo vale anche per le centrali elettriche a carbone o a gas. Al contrario, l’energia elettrica fornita a una macchina viene utilizzata virtualmente al 100% in particolare per quel che concerne i trasporti. Per quel che concerne invece il riscaldamento degli edifici, 1 kWh di elettricità fornita a una termopompa fornisce addirittura 3 kWh di calore, questo perché la termopompa non produce essa stessa calore, ma si accontenta di prelevare e concentrare quello già presente nell’ambiente. Ecco perché, spiega Saul Griffith in una ricerca effettuata per Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti, in caso di futura elettrificazione e decarbonizzazione totale, agli Stati Uniti occorrerà soltanto il 42% dell’energia primaria consumata attualmente. Non dimentichiamo infatti che negli Stati Uniti anche circa i ¾ dell’elettricità sono ancora prodotti tramite combustibili fossili.
Oggi i combustibili fossili provocano costi diretti e indiretti per 7'000 miliardi di dollari all’anno …
L’elettrificazione, oltre al beneficio economico, comporta pure un enorme beneficio climatico e ambientale. Smettendo di bruciare combustibili fossili per produrre energia elettrica, per il riscaldamento e per i trasporti, spariranno anche tutte le emissioni di anidride carbonica, metano e protossido di azoto che accompagnano questi percorsi energetici. Sparirà pure tutto l'inquinamento atmosferico con particolato fine e ozono che danneggia la nostra salute.
Per tradurre tutto ciò in soldoni, possiamo basarci sui calcoli fatti dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) che include nei costi delle energie fossili i sussidi diretti e indiretti, come pure i costi esterni, quali i danni dovuti al surriscaldamento del clima e i danni alla salute. Ebbene, secondo l’FMI, questi costi sono ammontati a livello globale nel solo 2023 a ben 7'000 miliardi di dollari.
… e questi costi sono destinati ad aumentare in modo massiccio nei prossimi decenni
Finora le emissioni di gas serra sono sempre aumentate di anno in anno e qualora non dovessero iniziare a diminuire rapidamente, il che appare poco probabile, anche i costi esterni continueranno ad aumentare. Secondo i calcoli delle Agenzie per la protezione dell'ambiente di Stati Uniti e Canada, quest’anno i costi esterni dei gas clima alteranti, costi che nota bene sono a carico della collettività, si aggirano attorno ai 200 dollari per ogni tonnellata di anidride carbonica emessa, rispettivamente dell’equivalente in CO2 di un altro gas serra. Stando alle previsioni questi costi saliranno a circa 300 dollari per tonnellata nel 2030 e a quasi 400 dollari per tonnellata nel 2040, ciò in particolare a causa dell’aumento delle catastrofi climatiche, come uragani, inondazioni e siccità. Anche l'Unione Europea lo ha capito e le sue indicazioni di bilancio sono ben allineate a queste cifre. Volete continuare a bruciare gas nel 2040? Aspettatevi di pagare un supplemento di 144 euro al MWh a titolo di tassa sul CO2 per questo tipo di combustibile fossile.
Come reagiscono a questi costi esorbitanti le principali economie?
Poiché da un paio di decenni a questa parte l’aspetto dei costi esterni delle energie fossili è sempre più evidente ed è entrato oramai al centro dei dibattiti, val la pena chiedersi come si stanno muovendo le diverse grandi economie su questo fronte. Dopotutto, i mezzi per elettrificare rapidamente l’economia sono oramai be noti.
Nell’ambito dei trasporti, una parte importantissima dell'energia fossile consumata e delle emissioni clima-alteranti riguarda il trasporto su ruote, soprattutto su strada, ma anche su rotaia.
Cominciamo con la ferrovia
Da notare che l'India punta al 100% di elettrificazione ferroviaria entro la fine di quest'anno. La Cina, dal canto suo, è salita ad almeno il 75%. In Europa, per contro, negli ultimi 20 anni non è cambiato un granché e va notato che il trasporto ferroviario di passeggeri rimane relativamente basso rispetto a quello su gomma. Gli Stati Uniti, infine, sono molto in ritardo, con una rete ferroviaria elettrificata soltanto all'1%.
La Cina da ultimo della classe a campione dell’elettrificazione
Per quel che concerne l’elettrificazione dei trasporti su terra, la ferrovia è l'unico segmento in cui la Cina non è leader mondiale. Per quanto riguarda invece il trasporto su gomma, ha già elettrificato un numero enorme di veicoli passeggeri. A fine 2023 circolavano sulle strade cinesi: 350 milioni di scooter elettrici, di cui oltre 43 milioni prodotti nel solo 2023, come pure 600’000 autobus elettrici, mentre quest’anno la metà delle auto nuove vendute finora sono o al 100% elettriche (28%) oppure ibride ricaricabili (22%). Anche i camion commerciali e urbani elettrificati sono massicciamente aumentati, con circa 500’000 unità che circolano sulle strade delle città e dei porti cinesi. Sull’acqua, ci sono poi già 700 navi portacontainer alimentate a batteria che percorrono 1’000 km sullo Yangtze e una nave da crociera da mille passeggeri alimentata a batteria che trasporta i turisti attraverso le Tre Gole.
Per quel che concerne inoltre il riscaldamento domestico commerciale e industriale, la Cina, non disponendo di riserve significative di gas naturale, non è caduta nella trappola del metano fossile russo a buon mercato come la Germania (25% del consumo di energia primaria) o l'Italia (40% del consumo di energia primaria), ma punta invece molto sull’elettrificazione.
Fin dal 1990 la Cina ha investito enormemente nell’infrastuttura elettrica, all’epoca costruendo soprattutto centrali elettriche a carbone. Negli ultimi anni il processo di elettrificazione s’è ulteriormente accelerato, ma oggi gli investimenti vanno soprattutto all’eolico e al solare, di cui la Cina è diventata il più grande produttore mondiale, motivo per cui il picco delle emissioni cinesi di gas serra, che era previsto per la fine di questo decennio, potrebbe verificarsi già quest'anno, dunque con sei anni di anticipo rispetto all'obiettivo fissato sulla tabella di marcia del governo cinese. Sembra dunque probabile che la Cina riuscirà a ridurre la sua curva di emissioni di carbonio con la stessa rapidità con cui in passato l'ha incrementata.
L’India, dopo una buona partenza negli anni 90, marcia sul posto
L'India ha ottenuto buoni risultati negli anni '90, ma da allora si è effettivamente stabilizzata. I recenti sforzi di questo paese sono contrastanti. Come visto sopra, alla fine di quest'anno le grandi linee ferroviarie saranno alimentate al 100% con energia elettrica. Anche l'elettrificazione dei veicoli a due e tre ruote è in aumento e il paese punta ad avere sulle strade 50’000 autobus elettrici entro il 2027. Ma l’India ha deciso nel contempo di investire miliardi nell'estrazione di petrolio e gas e per accumulare riserve strategiche di idrocarburi, inoltre ha incrementato la costruzione di centrali a carbone. Riassumendo: l’india investe attualmente somme molto più importanti nelle energie fossili che non nella costruzione di parchi eolici e solari.
Gli Stati Uniti fra autarchia fossile e protezionismo
Gli Stati Uniti, benedetti e nel contempo maledetti dall’abbondanza di giacimenti di petrolio e gas naturale e governati da un'oligarchia che tira una parte importante dei suoi proventi dal business di idrocarburi, hanno aumentato leggermente l’elettrificazione negli anni '90, ma dagli anni 2000 in poi non si sono praticamente più mossi. Il rilancio dell’elettrico statunitense promosso dall'Inflation Reduction Act, dal Transportation Blueprint e dalla US Hydrogen Strategy pone più l'accento sull’idrogeno di quanto sarebbe utile e così gli Stati Uniti arrischiano di rimanere penalizzati, visto che hanno deciso di imporre in parallelo dazi proibitivi sui veicoli elettrici, sui pannelli solari, sulle turbine eoliche e sulle batterie cinesi, che sono le più economiche e avanzate del mondo.
L’Europa da primo della classe a secondo
Per quel che concerne l'analisi dell’Europa, è utile basarsi sul perimetro ENTSO-E, ossia quello del European Network of Transmission System Operators, un insieme di 46 paesi che comprende, oltre a quelli dell'Unione Europea, anche tutti quei paesi europei che si allineano ad essa in materia di politica energetica, commerciale o valutaria. All’inizio degli anni 90, quando il livello di elettrificazione della sua economia era praticamente doppio rispetto a quello di Stati Uniti, India e Cina, l’Europa era in un’ottima posizione. Infatti, come l'India e la Cina, anche l’Europa continentale non disponeva di grandi giacimenti di gas naturale e di petrolio, ma poi diversi paesi dell’Europa del Nord hanno cominciato a costruire massicci impianti di estrazione offshore nel Mare del Nord, mentre l’economia tedesca ha iniziato a rifornirsi in modo sempre più massiccio di gas russo a buon mercato, in particolare tramite il gasdotto Nord-Stream. Ecco perché il vantaggio dell’Europa in materia di elettrificazione è andato progressivamente scemando. Ultimamente, per raggiungere i suoi obiettivi climatici e per difendere la sua economia, l’Unione Europea ha tuttavia previsto di aumentare di molto il prezzo del sistema di scambio delle emissioni, a oltre 300 dollari a tonnellata di CO2 equivalente nel 2030 e a circa 400 dollari nel 2040, il che potrebbe dare una sferzata a un’ulteriore elettrificazione. Per proteggere la sua economia dalla concorrenza di paesi meno inclini alla protezione del clima, questo aumento sarà accompagnato dal cosiddetto “carbon border adjustment mechanism”, un dazio supplementare sulle importazioni calcolato in base ai gas serra emessi nei paesi d’origine dei prodotti importati. Ecco perché i paesi con il più alto tasso di emissioni di gas serra pagheranno a partire dal 2026 dazi molto più elevati per i loro prodotti esportati verso l’Europa, mentre quelli in cui l’elettrificazione è più avanzata pagheranno di meno.
Da notare che ben il 17% di tutte le esportazioni statunitensi è destinato all'Europa. Questo 17% delle esportazioni statunitensi sarà dunque particolarmente colpito dal meccanismo di aggiustamento delle frontiere per il carbonio. Le esportazioni statunitensi dovranno così competere con le esportazioni a basse emissioni di gas serra provenienti dalla Cina e con la produzione interna europea. Se si considerano infatti le emissioni di gas serra pro capite, nel 2023 ogni abitante della Cina ha prodotto sull’arco di 12 mesi in media 11,11 tonnellate di CO2 equivalente, mentre ogni abitante degli USA ne ha prodotte 17,61 tonnellate. In altre parole un cinese produce in media solo 2/3 di gas serra rispetto a quelli prodotti da un americano. Da notare che dal 1980 anche l'India è diventata un importante paese esportatore, quindi anche le sue esportazioni verso l’Europa sono a rischio a causa della sua politica energetica e climatica.
Infine, per proteggere la propria industria automobilistica in crisi, l’Unione Europea, ha deciso recentemente, alla stessa stregua degli Stati Uniti, di imporre dazi molto elevati sull’importazione di automobili cinesi, dazi che avranno però per effetto di frenare notevolmente l’elettrificazione del settore europeo del trasporto su gomma, proprio quello in cui finora la decarbonizzazione s'è rivelata più ardua da realizzare.
Per concludere: Con il massiccio calo dei prezzi registrato negli ultimi 10 anni sia in campo fotovoltaico, sia in quello eolico e non da ultimo nel campo dello stoccaggio energetico su batteria, le energie rinnovabili sono diventate oggi di gran lunga le più competitive. Il paese che dispiega più rapidamente le energie rinnovabili e che elettrifica più rapidamente la sua economia, disporrà dunque dell'economia più competitiva a livello globale. La Cina appare essere il primo paese ad aver capito la lezione e ad agire di conseguenza.