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Aumentano fortemente le emissioni di metano

Articolo del 24 settembre 2022

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C’è molta preoccupazione in ambito scientifico per la fusione del permafrost delle regioni artiche, che ha iniziato a rilasciare grandi quantità di metano, un gas serra 30 volte più potente del CO2

Si chiama “termocarsismo” ed è un fenomeno apparso recentemente nelle regioni artiche della Siberia e del Nordamerica con la fusione del permafrost*) della tundra. Quest’ultimo è infatti ricco di ghiaccio, il quale, fondendo a causa del surriscaldamento del clima, provoca il collasso del terreno. Si formano così delle doline che assomigliano a quelle che si riscontrano in alcune regioni carsiche, da cui il termine termocarsismo. A differenza delle doline delle regioni carsiche, questi buchi formatisi nel permafrost si riempiono però di acqua, formando migliaia di nuovi laghi.

Questi laghi termocarsici accelerano da un lato lo scioglimento del permafrost circostante, dall’altro creano un habitat ideale per colonie di batteri che si nutrono dei resti vegetali che erano incorporati nel permafrost e che, con la loro digestione, producono metano (CH4), un gas a effetto serra 30 volte più potente del CO2. E non si tratta affatto di piccole quantità di metano, ma di quantità talmente elevate da vedere gorgogliare la superficie di questi laghi e da potergli addirittura dare fuoco. Per quest'ultimo esperimento basta infatti bucare una di queste bolle, che appaiono congelate in inverno sotto la superficie del lago, e accendere con un fiammifero il gas che ne fuoriesce (vedi video nell'articolo originale). 

Per studiare questo fenomeno e misurarne l’impatto sul clima, la NASA ha dato l’avvio nel 2015 al progetto “Arctic Boreal Vulnerability Experiment”, in sigla ABoVE. Stando alla professoressa Katey Walter Anthony, una ricercatrice dell'Alaska-Fairbanks University specializzata nell’ecologia acquatica e nella biogeochimica e che sta collaborando al progetto ABoVE, studiando in particolare l’impatto di questo fenomeno sul lago Big Trail, "Al Big Trail Lake, è come aprire per la prima volta lo sportello del freezer e dare tutto il cibo in esso contenuto in pasto ai microbi per decomporlo" e aggiunge: "Mentre lo decompongono, emettono gas metano".

Il metano è un gas a effetto serra devastante

Sebbene l'anidride carbonica (CO2) rimanga sul lungo periodo il motore principale del surriscaldamento del clima, le emissioni di metano sono diventate in questi ultimissimi anni un tema centrale per riuscire a frenarlo nel breve termine. Anche se si degrada molto più rapidamente del CO2, il metano è infatti un gas a effetto serra che ha un forte impatto sul clima. Si calcola che attualmente circa il 18% del riscaldamento climatico sia proprio dovuto a questo gas, gas la cui concentrazione nell’atmosfera aumenta di anno in anno a un tasso che varia dall'1,1% all'1,4%, ciò proprio a causa delle attività umane. Infatti, se da un lato parte del metano viene emesso da fenomeni perfettamente naturali, come quelli che si verificano nelle zone umide del nostro pianeta, dall’altro a provocare la crescita delle emissioni di metano vi sono l’agricoltura, gli allevamenti di bovini, le discariche, lo sfruttamento dei combustibili fossili, le perdite di gas dai metanodotti e appunto lo scioglimento del permafrost provocato dall’uomo. Di fatto quest’ultimo fenomeno ha innescato uno di quegli infernali meccanismi per i quali il surriscaldamento del clima comincia ad autoalimentarsi e che sono noti col nome di “Tipping Points”.

Ecco perché secondo la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA): "Ridurre le emissioni di metano è uno strumento importante che possiamo utilizzare fin da subito per attenuare gli impatti del cambiamento climatico nel breve termine e ridurre rapidamente il tasso di riscaldamento". Va poi ricordato che ridurre le emissioni di metano non fa bene solo al clima, ma anche alla salute umana. Infatti, oltre a surriscaldare il clima, il metano contribuisce alla formazione di ozono, un gas che provoca a livello globale circa mezzo milione di morti premature all’anno. Secondo la NOAA, ridurre le emissioni antropiche di metano è particolarmente importante perché con l'attuale aumento delle temperature potrebbe innescarsi un "ciclo di feedback" che "sarebbe in gran parte al di là della capacità di controllo dell'uomo".

Bruciando combustibili fossili abbiamo risvegliato un pericoloso mostro dormiente

Si calcola che il solo permafrost delle regioni artiche contenga 1'700 miliardi di tonnellate di carbonio, sotto forma di metano, di anidride carbonica e di resti vegetali congelati. Si tratta di una quantità circa 51 volte superiore alla quantità di carbonio che la nostra civiltà industriale ha rilasciato nell’atmosfera nel 2019, utilizzando combustibili e carburanti fossili. A questi miliardi di tonnellate di carbonio ne vanno aggiunti altri 60 imprigionati nel permafrost sepolto sotto forma di metano nei bassi fondali dell'Oceano Artico e 560 miliardi di tonnellate di carbonio sotto forma di materiale organico, pure queste sommerse nell’oceano artico, di che rendere questo permafrost marittimo la più importante fonte di gas serra attualmente non ancora inclusa nelle proiezioni climatiche. L'aumento delle emissioni di metano arrischia di avere sul lungo termine un impatto disastroso sull’evoluzione del clima, stando agli esperti questo impatto potrebbe infatti essere addirittura il doppio di quanto stimato finora dai modelli climatici.

 

*) Cosa è il permafrost

Il termine inglese “permafrost”, composto da perma(nent) e frost (gelato), designa un terreno tipico delle regioni artiche del Nord Europa, della Siberia, del Canada e dell’Alaska dove il suolo è perennemente ghiacciato. Il permafrost si riscontra anche in alta montagna, per esempio nelle Alpi o nel Himalaya, e nei fondali poco profondi dell’oceano artico.

Intrappolate al disotto del permafrost, che funge da copertura impermeabile, si trovano grandi quantità di gas metano, gas accumulatosi nel corso dei millenni. Fino a tempi recentissimi questi giacimenti metaniferi erano naturalmente sigillati verso l'alto dalle vaste estensioni di terreni congelati, impermeabili quindi ai gas.

Questi depositi di metano possono esistere anche sotto forma solida. Infatti a basse temperature e soprattutto a pressione elevata (a una profondità di oltre 350m) il metano cristallizza e si presenta nella veste di un materiale simile al ghiaccio, il cosiddetto idrato di metano. Se tuttavia la temperatura dell’acqua aumenta, ad esempio a causa di correnti marine più calde, il metano torna allo stato gassoso e si fa strada verso la superficie del mare, che sembra ribollire. I primi depositi di idrato di metano in natura sono stati scoperti negli anni ’60 del secolo scorso. Oggi si sa che depositi di idrato di metano si trovano in tutto il mondo in particolare nei sedimenti marini a profondità fra i 350 e i 5000 metri lungo le scarpate continentali, come pure all’interno o al disotto del permafrost continentale. Pochissimo idrato di metano si trova invece sui fondali oceanici, perché l'esigua quantità di materia organica, e quindi di carbonio, incorporata nei sedimenti di quelle zone non basta alla sua formazione.