L’impatto dell’innalzamento del livello dei mari è molto più grave del previsto
31.10.2019
Notizie positive
Articolo del 13 maggio 2022
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Un gruppo di ricercatori americani hanno messo a punto col supporto dell’IA (intelligenza artificiale) un enzima in grado di scomporre nel giro di poche ore nei loro elementi di base le lunghissime molecole (polimeri) che compongono il PET, un tipo di plastica di cui sono fatte non solo gran parte delle bottiglie, ma anche le stoffe di molti vestiti che portiamo
Un gruppo di ingegneri e di chimici dell’Università del Texas ad Austin ha sviluppato una nuova variante di un enzima già presente in natura in grado di scomporre in poche ore le bottiglie e gli imballaggi di plastica che normalmente impiegano secoli per degradarsi. Questa scoperta, pubblicata il 27 aprile 2022 sulla rivista Nature, potrebbe aiutare a risolvere uno dei più grandi problemi ambientali del mondo: cosa fare con i miliardi di tonnellate di rifiuti plastici che si stanno accumulando nelle discariche e che inquinano il nostro ambiente. L'enzima ha il potenziale di facilitare il riciclaggio della plastica su vasta scala e permetterebbe all’industria di ridurre il proprio impatto ambientale, recuperando la plastica a livello molecolare per poi riutilizzarla. Ricordiamo che il PET è un polimero presente nella maggior parte degli imballaggi di consumo, tra cui bottiglie di acqua minerale e di altre bevande, contenitori per biscotti, imballaggi per la frutta e l’insalata e anche nelle fibre di numerosi tessuti. Oggi il PET rappresenta circa il 12% della massa globale di rifiuti.
La scoperta di un batterio che si ciba di plastica
Sei anni or sono, nel marzo del 2016, alcuni scienziati giapponesi, setacciando i detriti di un impianto di riciclaggio di bottiglie di plastica, hanno scoperto un batterio, l’Ideonella sakaiensis, in grado di degradare il PET (polietilene tereftalato). Questo organismo si ciba infatti di questo tipo di plastica e per farlo dispone di due enzimi che scompongono il polimero nei suoi elementi di base. Ricordiamo che un enzima è una sostanza composta da molecole biologiche giganti, le quali sono in grado di accelerare, come un catalizzatore, una reazione chimica. Gli enzimi svolgono funzioni importanti nel metabolismo degli organismi, controllandone la maggior parte delle reazioni biochimiche, fra cui anche la digestione. Nel caso dell’Ideonella sakaiensis i due enzimi lo fanno tramite idrolisi, una reazione chimica che distrugge i legami chimici che tengono assieme le lunghe molecole del PET, sciogliendole letteralmente nell’acqua. Una colonia di Ideonella sakaiensis è così in grado di disintegrare una fine pellicola di plastica nel giro di circa 6 settimane ad una temperatura di 30°C.
I ricercatori si mettono al lavoro per migliorare gli enzimi
Nell’aprile del 2018, due anni dopo la scoperta del batterio, ricercatori dell’Università britannica di Portsmouth e del Laboratorio Nazionale per le Energie Rinnovabili del Dipartimento per l’Energia degli Stati Uniti, sono riusciti a decifrare la struttura del primo dei due enzimi, la PETasi, mentre nell’aprile 2019 è stata pubblicata sulla rivista Nature la struttura del secondo dei due enzimi, la MHETasi. Il processo di decomposizione del PET, prodotto dai due enzimi si è tuttavia rivelato troppo lento e poco efficace per disintegrare imballaggi più grossi e dunque per essere utilizzato a livello industriale. Ecco perché uno di questi due enzimi, la PETasi, è diventato l'obiettivo della ricerca di una squadra di scienziati dell'Università del Texas guidata da Hal Alper, squadra intenzionata a modificare la PETasi in modo da rendere il processo di “digestione” della plastica molto più rapido ed efficace.
L’intelligenza artificiale in soccorso della ricerca
Per facilitare il loro lavoro di ricerca, gli scienziati si sono avvalsi dell’intelligenza artificiale, creando un algoritmo, che è stato dapprima addestrato su 19.000 proteine di dimensioni simili, ma con funzionalità molto diverse. Poi, per ciascuno dei 290 aminoacidi che compongono la complessa molecola della PETasi, il programma ha verificato in che misura la sua collaborazione con gli altri 289 è efficace. Laddove per uno di questi amminoacidi questa collaborazione non è apparsa ottimale, l’intelligenza artificiale ha suggerito di rimpiazzarlo con un amminoacido diverso e più efficace. Tra i milioni di combinazioni possibili, i ricercatori sono così riusciti a focalizzarsi sulla sostituzione di soli tre amminoacidi e hanno combinato queste 3 modifiche con altre 2 già ottenute in un precedente tentativo di migliorare la PETasi. Il risultato s’è rivelato un super-enzima estremamente reattivo, specialmente alle basse temperature.
Il nuovo super-enzima divora la plastica non in settimane, bensì in ore
Il risultato di questa complessa ricerca è stato pubblicato lo scorso 27 aprile 2022 sulla rivista scientifica Nature. Si tratta di un risultato dirompente: la nuova variante di PETasi, che è stata chiamata FAST-PETasi (da functional, active, stable, and tolerant PETase), è infatti in grado di decomporre nel giro di poche ore o al massimo un paio di giorni ben 51 diversi prodotti in PET, tra cui contenitori e intere bottiglie di plastica, oggetti che in natura impiegano secoli per degradarsi completamente, di che contribuire a risolvere uno dei maggiori problemi ambientali del mondo: quello dei miliardi di tonnellate di rifiuti plastici che si accumulano nelle discariche e inquinano le nostre terre, i nostri fiumi, i laghi e gli oceani. L'enzima ha inoltre il potenziale di facilitare il riciclaggio della plastica su vasta scala, consentendo all’industria della plastica di ridurre il proprio impatto ambientale recuperando e riutilizzando la plastica a livello molecolare. Da notare che gli attuali sistemi di riciclaggio della plastica sono enormemente energivori, dovendo lavorare a temperature di oltre 300°C, mentre la FAST-PETasi può eseguire lo stesso processo a meno di 50 gradi.
PET: un’invenzione utile, ma che ha gravemente inquinato tutto il nostro pianeta
Il polietilene tereftalato è stato inventato nel 1941, ossia oltre 80 anni fa, da due ricercatori inglesi, John Rex Whinfield e James Tennant Dickson, che stavano in realtà cercando di creare una fibra artificiale per tessuti, e che certamente non avrebbero mai immaginato che 3 decenni più tardi, sotto l’abbreviativo di PET, la loro invenzione avrebbe spopolato in tutto il mondo, anche sotto forma di bottiglie. Infatti negli anni ‘70, la Coca-Cola lanciò sul mercato statunitense la prima bottiglia in PET. Alla fine degli anni ‘80, bottiglie fatte di questo tipo di plastica iniziarono la loro inarrestabile scalata al mondo delle bevande, sostituendo quasi dappertutto le bottiglie di vetro. I vantaggi sono evidenti: una bottiglia da 1,5 litri in PET pesa a malapena 30 grammi e costa nemmeno una manciata di centesimi.
Riciclato solo il 10% della plastica
Una parte di queste bottiglie di plastica viene oggi raccolta, selezionata, tritata, lavata e riciclata per produrre nuove bottiglie. In Svizzera questo lavoro viene effettuato da 25 anni dalla PET-Recycling Schweiz, ma malgrado il fatto che la Svizzera figuri nel plotone di testa fra i paesi campioni del mondo in materia di riciclaggio delle bottiglie di PET, un quarto di quelle in circolazione finisce anche da noi o negli inceneritori o nella natura. Non a caso la crescita della produzione mondiale di PET continua in modo inarrestabile. Se nel 2008 se ne producevano 40 milioni di tonnellate all’anno, nel 2016 la produzione era già salita a 56 milioni di tonnellate ed è attualmente valutata attorno agli 80 milioni di tonnellate. Si stima che l'uomo abbia caricato finora il pianeta di ben 9 miliardi di tonnellate di plastiche, metà delle quali prodotte dal 2004 in poi. A livello globale appena un magro 10% di questa enorme massa di plastica viene riciclata, il resto finisce nelle discariche o nella natura, dove col tempo si frantuma e si trasforma in microplastiche, che oggi sono oramai ubiquitarie e che si trovano fin nei nostri polmoni, nel sangue, nel fegato, nella milza e nei reni. Un’analisi effettuata nel 2020 nei vari organi del nostro corpo ha trovato microplastiche in tutti i tessuti analizzati e, fatto ancora più preoccupante, una ricerca effettuata nell’autunno del 2021 ha mostrato che i nostri bambini hanno nel loro corpo una quantità di microplastiche ben 10 volte superiore a quella riscontrata negli adulti e che sono inquinati di microplastiche prima ancora di nascere.
La maggior parte del PET si trova nei nostri vestiti
Da notare che oltre il 60% della produzione di polietilene tereftalato è destinata alla produzione di fibre e fiocchi, il resto serve a fabbricare contenitori per generi alimentari e molto altro. Come fibra tessile il PET viene utilizzato perché è idrorepellente, resistente alle pieghe, agli strappi e alle intemperie. Ecco perché gran parte dell’abbigliamento sportivo, che deve asciugarsi rapidamente, è fatto con tessuti in fibre di PET (poliestere). Nel campo dei contenitori alimentari il polietilene tereftalato viene utilizzato principalmente per fabbricare bottiglie (66%) e contenitori per cibi preconfezionati come sandwich, o congelati (8%). Esempi di altre applicazioni sono gli imballaggi per mobili e altri oggetti, tubi, contenitori, etichette, timpani per strumenti a percussione, corde e funi, pellicole per vetri e pannelli fotovoltaici, resine termoplastiche, guaine idrorepellenti per cavi sottomarini, la stampa in 3D, eccetera.
Oltre 500 miliardi di bottiglie di plastica vendute ogni anno su scala globale
Ogni giorno vengono vendute nel modo circa un miliardo e mezzo di bottiglie di plastica. 8,8 milioni di tonnellate di questa plastica finiscono ogni anno negli oceani. È come se riversassimo ogni minuto direttamente nel mare il contenuto di un intero camion della spazzatura. Questa plastica nel mare ci resta per secoli, perché è proprio questo il tempo che occorre affinché la plastica si scomponga completamente in modo naturale. Se continuiamo a questo ritmo ad immettere plastica nei nostri oceani, entro il 2050 i nostri mari conterranno più plastica che pesci. Ecco perché la scoperta dei batteri mangia-plastica e il lavoro dei ricercatori per migliorare l’efficacia degli enzimi di cui si servono questi batteri per digerirla sono due fra le migliori notizie degli ultimi tempi: esse lasciano intravvedere la possibilità di eliminare in un futuro non troppo lontano una delle maggiori fonti di inquinamento del nostro pianeta. Esse sono pure un bellissimo di come la natura ci può offrire soluzioni efficaci per molti dei nostri problemi, soluzioni che aspettano soltanto di essere migliorate dal genio umano.