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Monks Wood Wilderness: un progetto di rewilding ante litteram

Articolo del 22 luglio 2021

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60 anni fa gli scienziati lasciarono che un campo agricolo si rinselvatichisse. Ecco cosa è successo

Esattamente 60 anni fa, nel 1961, un campo di 4 ettari (40'000 m2) ubicato accanto alla stazione ferroviaria di Huntingdon, una località situata nella Contea di Cambridge, nell’Est dell’Inghilterra, ha visto il suo ultimo raccolto di orzo, dopodiché è stato arato e poi abbandonato definitivamente a se stesso. Ma non si trattava di un semplice abbandono, bensì dell’inizio del più lungo progetto scientifico di “rewilding”, un progetto monitorato in modo sistematico da 6 decenni dalla Monks Wood Experimental Station, un’istituzione che dal 2006 è parte di Natural England, l’ente governativo responsabile dell’amministrazione delle riserve naturali inglesi.

Kenneth Mellanby, l’allora direttore della Monks Wood Experimental Station, descrisse lo scopo di questo esperimento come segue: “Potrebbe essere interessante osservare cosa succede a questa zona se l'uomo non interferisce. Diventerà di nuovo un bosco, quanto tempo ci vorrà, quali specie ci saranno?”. All’epoca dominava ancora l’idea che la natura va domata e il crollo della biodiversità non era diventato un tema trattato dai media. Allora il termine “Rewilding”, che da noi oggi viene talvolta anche tradotto con rinaturalizzazione, rinaturazione, o rinselvatichimento, nemmeno esisteva. Con Rewilding s’intende il ripristino delle condizioni naturali e originarie di un territorio o di un ecosistema.

Cosa è successo negli ultimi 60 anni al Monks Wood

Nel corso dei primi 15 anni, nel campo lasciato all’abbandono sono cresciuti un sacco di fiori selvatici e dai semi lasciati cadere dai tordi e da altri uccelli che si cibano di bacche è nato un fitto intrico di arbusti, rovi e biancospini. Questa fitta boscaglia ha protetto le giovani piantine di frassino comune e di acero campestre i cui semi erano stati portati dal vento, ma soprattutto giovani querce, le cui ghiande vengono nascoste nel terreno dalle ghiandaie e dagli scoiattoli, quali riserve di cibo per l’inverno e poi talvolta dimenticate. Il grosso del lavoro di piantumazione sembra essere stato svolto dalle ghiandaie, visto che oggi il 52% degli alberi cresciuti sul sedime dell’antico campo sono querce. Con la nuova flora selvatica vennero ben presto ad istallarsi anche numerosi animali, come: conigli selvatici, lepri, cervi e caprioli.

Protetti dal fitto intrico di rovi, gli alberi hanno potuto crescere indisturbati e senza alcun bisogno di recinzioni protettive. Ad accelerare la trasformazione del campo in un bosco è stata anche la presenza di una vicina riserva forestale, la quale ha fornito le sementi trasportate dal vento, dagli uccelli e dai roditori. Oggi il risultato di tutto ciò è un bosco strutturalmente complesso con strati multipli di vegetazione arborea e arbustiva, e, man mano che l'habitat invecchia, con un importante accumulo di legno morto e di varietà fungine. Questa complessità ha aperto numerose nicchie ecologiche per un'ampia varietà di fauna selvatica del bosco, dagli invertebrati che si cibano di legno morto, ai tordi, agli usignoli, ai picchi muratori e a numerose altre specie di uccelli che nidificano, gli uni a livello del terreno, altri nel sottobosco e altri ancora nella chioma degli alberi.

La Gran Bretagna è uno dei paesi europei più poveri di boschi

Mentre nel resto dell’Europa i boschi coprono in media il 38% del territorio, nel Regno Unito la copertura forestale rappresenta solo il 13%, e solo la metà di questi boschi contengono un'ampia varietà di specie indigene, mentre per il resto si tratta di monocolture di conifere non indigene, coltivate soltanto per ricavarne legname. Ecco perché, vista la crisi climatica e il drammatico crollo della biodiversità, il governo britannico ha deciso di creare ogni anno 30.000 ettari di nuovi boschi, di che garantire nuovi habitat alla fauna selvatica e contribuire a riassorbire parte delle emissioni di CO2 dovute all’utilizzo dei combustibili fossili.

Piantare alberi è costoso, lasciarli crescere spontaneamente ha molti vantaggi

Quando si parla di riforestazione, si pensa di solito a piantare alberi. Questo approccio è tuttavia molto costoso. Gli alberelli devono dapprima essere coltivati nei vivai, poi trasportati in loco, piantati e protetti da cervi e caprioli con recinzioni e tubi di plastica. Questi ultimi rappresentano anche un potenziale inquinamento da plastica, dato che con gli anni si sfaldano e i cocci di questi tubi finiscono nel terreno. L’alternativa è la rigenerazione naturale. L’esperimento di Monks Wood mostra che la rigenerazione spontanea funziona molto bene e che per giunta non costa nulla. Essa ha inoltre il vantaggio di lasciar crescere gli alberi e gli arbusti meglio adattati al tipo locale di terreno e di clima. Ne risulta quindi un bosco molto diversificato e meglio adattato alle condizioni locali.

Normalmente i boschi spontanei crescono su terreni abbandonati in regioni soggette a spopolamento e molto raramente il loro sviluppo viene monitorato e documentato sull’arco di molti decenni. Uno dei pochi esempi positivi in questo campo è il Parco Nazionale dell’Engadina, dove la natura ha potuto evolvere indisturbata dall’uomo da oltre 100 anni. Ma si tratta di un parco alpino per nulla rappresentativo per i boschi di bassa quota. Monks Wood Wilderness colma questa lacuna ed è un esempio di rigenerazione naturale monitorata per decenni.

60 anni dopo che Kenneth Mellanby si era posto la domanda di come si sarebbe sviluppato questo campo abbandonato dall’uomo, ora abbiamo finalmente la risposta. Nel lasso di 40-50 anni, il campo è diventato un bosco maturo chiuso a baldacchino, con quasi 400 alberi per ettaro. E man mano che gli alberi sono diventati più alti, sono arrivate nuove specie di piante e di animali, specializzate appunto per vivere in boschi maturi.

Rewilding Europe

In questi ultimi anni il termine Rewilding s’è diffuso in tutta Europa a seguito del lancio di un progetto internazionale da parte dell’associazione senza scopo di lucro Rewilding Europe, organizzazione lanciata nel 2011 dal WWF dei Paesi Bassi, da ARK Nature, da Wild Wonders of Europe e da Conservation Capital. Il termine ha anche trovato riscontro in numerosi articoli di giornale, come ad esempio “Il ‘safari’ più bello? Nell’Europa del rewilding” (La Stampa, 23/05/2017) e “In Europa tornano gli animali selvaggi. Si chiama rewilding. È il reinselvatichimento di grandi aree del Vecchio Continente” (L’Espresso, 15/06/2015).

Il rewilding è un nuovo approccio alla promozione della biodiversità. Si tratta non più solo di proteggere quel poco di naturale che è rimasto, ma di lasciare che la natura possa riprendere piede in regioni degradate dall’uomo. Col Rewilding s’intende permettere ai processi naturali di tornare a modellare gli ecosistemi terrestri e marini, di riparare gli ecosistemi danneggiati e di ripristinare i paesaggi degradati. Anche da noi sono in corso esperimenti di questo tipo, come ad esempio la rinaturazione dei corsi d’acqua. Negli Stati Uniti s’è ad esempio iniziato a smantellare numerosi sbarramenti idroelettrici lungo diversi fiumi in modo da permettere alla fauna ittica di riprendere le sue migrazioni.

Natura selvaggia e ecoturismo

Fra gli obiettivi di Rewilding Europe figurano la creazione di corridoi e passaggi per la fauna selvatica, il ripristino dei regimi di inondazione, la rimozione delle dighe, il ripristino delle popolazioni di animali selvatici e delle catene alimentari. L'organizzazione mira inoltre a valorizzare i terreni abbandonati in Europa, riportandoli a uno stato di massima naturalità. I progetti principali di Rewilding Europe concernono il delta del Danubio e la foce dell’Oder, l’Appennino centrale e i Carpazi meridionali, la Lapponia, la catena montagnosa di Velebit sulla costa adriatica della Croazia, le montagne di Rhodopes in Bulgaria e la valle della Coa in Portogallo. L'organizzazione si occupa inoltre di promuovere l'ecoturismo.