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Gli incendi australiani sono un assaggio del genere di catastrofe che ci riserva il riscaldamento climatico

Articolo del 03 gennaio 2020

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In Australia si sta moltiplicando un fenomeno naturale terrificante: l’incendio impossibile da spegnere, un tipo d'incendio che si autoalimenta e che può provocare nuovi incendi anche a distanza di 100 km e dinnanzi al quale sono costrette a capitolare anche le squadre di pompieri più agguerrite

Se +1,5°C vi sembra poco, provate a chiederlo a un australiano. In Australia, infatti, l’anno appena trascorso è stato l’anno più caldo di sempre con una temperatura media di “soli” 1,52°C al disopra di quella degli anni 1960-1990. È stato anche il 2° anno più secco di sempre con una media di pioggia sull’intero continente e sull’intero anno di soli 27,7 cm. È stato poi l’anno più devastante di sempre per quel che concerne gli incendi di boschi, con una superficie forestale distrutta equivalente a quasi il doppio della superficie del Belgio. È stato anche un anno terribile per la fauna australiana, che ha perso nei roghi mezzo miliardo di animali, fra cui i 2/3 dei Koala, i marsupiali iconici dell’Australia. Se gli australiani emettono 380 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, in pochi mesi gli incendi ne hanno aggiunte altri 250 milioni di tonnellate. I giganteschi roghi hanno fatto delle metropoli australiane le città dall’aria più inquinata del mondo. A Sydney la concentrazione di polveri sottili del tipo PM2.5 ha raggiunto i 734 microgrammi al metro cubo, quando il limite massimo stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è di soli 10 microgrammi. Respirare in questi giorni a Sydney è come fumare 37 sigarette al giorno. Non a caso i ricoveri in ospedale per problemi respiratori sono aumentati drammaticamente. Ma non sono questi i problemi che assillano maggiormente gli australiani in questi giorni: quello più drammatico si chiama “pyrocumulonimbus”.   

Un tipo di incendio che si autoalimenta e che provoca nuovi incendi

Da una decina d’anni, nella stagione degli incendi, si moltiplicano in Australia i cosiddetti cumulus flammagenitus, detti anche pyrocumulus. Stando al nuovo Atlante internazionale delle nubi, appena pubblicato nel 2017, si tratta di nubi cumuliformi che si sviluppano al disopra di una fonte di calore intenso, come appunto un vasto incendio di foreste o un’eruzione vulcanica. A seconda della quantità di calore e dell’umidità disponibile, può svilupparsi un pyrocumulus humilis, un pyrocumulus mediocris, un pyrocumulus congestus, o addirittua un pyrocumulonimbus, il più imponente di tutti. Per illustrare quest’ultimo tipo di cumulus flammagenitus, basta ricordare, che il famoso fungo provocato dall’esplosione di una bomba atomica fa proprio parte proprio di quest’ultima categoria.

Il fenomeno si sviluppa come segue:

Essendo l’aria calda più leggera di quella fredda, l’aria scaldata dall’incendio inizia a salire sempre più rapidamente, causando una fortissima corrente ascendente che trascina con sé enormi quantitativi di cenere e di vapore emessi dalla vegetazione che brucia. Per colmare il vuoto lasciato dall’aria calda che sale, viene aspirata in superficie nuova aria più fresca dalle aree circostanti. Il fenomeno può assumere la forza di un uragano e creare dei veri e propri tornado di fiamme, le quali possono salire fino a 70 metri di altezza, creando una muraglia di fuoco assolutamente impossibile da spegnere. Appena una settimana fa, in Australia, uno di questi tornado di fiamme ha scaraventato in aria un camion dei pompieri da 10 tonnellate, uccidendo uno dei pompieri e ustionandone gravemente un altro. A questo punto non resta dunque ai pompieri che scappare il più in fretta possibile. Nei casi estremi, come successo in questi giorni in Australia, l’aria calda, carica di fuliggine e vapore acqueo, può salire fino nella stratosfera a decine di km dal suolo, creando gigantesche nuvole all’interno delle quali nascono violentissimi temporali, che generano fulmini, i quali possono a loro volta provocare nuovi incendi anche a decine di km di distanza. Si potrebbe pensare che la pioggia generata da questi temporali sia d‘aiuto ai pompieri, ma nel caso degli imponenti incendi di questi giorni in Australia il gran caldo ha fatto evaporare le gocce di pioggia prima ancora che raggiungessero il suolo.

Le nubi di fuoco non sono un fenomeno nuovo

Un pyrocumulonimbus che s’è sviluppato nei giorni scorsi nella regione di Gippsland nelle vicinanze di Melbourne, che con 4,7 milioni di abitanti è la seconda metropoli più popolosa d’Australia, ha costretto le autorità ad evacuare 100'000 persone dai sobborghi della città per portarle in luoghi più sicuri. I pyrocumulonimbus più funesti l’Australia li ha però subiti il 7 febbraio 2009, in quello che venne battezzato il Black Saturday, quando nello stato di Victoria morirono 173 persone e altre 414 rimasero gravemente ustionate. Quel giorno a Melbourne l’umidità dell’aria era solo del 2% e il termometro segnava 46,4°C, violenti venti portarono verso mezzogiorno fin nei suoi sobborghi della città le fiamme di diversi incendi, che s’erano sviluppati nei giorni precedenti. Nel giro di poche ore si svilupparono tre giganteschi roghi che si trasformarono in altrettanti pyrocumulonimbus. Uno dei fulmini provocati da uno di questi tre uragani di fuoco innescò un nuovo incendio addirittura a 100 km di distanza.

Fenomeni analoghi anche in Europa e nel Nord America

In Australia il fenomeno dei pyrocumulonimbus non è nuovo, ma s’è parecchio accentuato nel corso degli ultimi 30 anni. Quel che invece è nuovo è che fenomeni di questo tipo negli ultimissimi anni hanno cominciato a fare capolino anche in altre parti del mondo e soprattutto in regioni dove meno te l’aspetti, come ad esempio da noi in Europa. Negli ultimi anni il fenomeno è stato documentato in Spagna, in Portogallo e per la prima volta pure in Svezia, dove sono andate in fumo enormi superfici di foreste boreali, ma anche in Canada e negli Stati Uniti. Nel 2016, nello stato canadese dell’Alberta, una di queste tempeste di fuoco ha costretto le autorità ad evacuare 88'000 persone, dopo che i fulmini provocati dal pyrocumulonimbus avevano scatenato tutta una serie di incendi secondari in un raggio di oltre 35 km.