Le centrali a pellet producono più CO2 di quelle a carbone
14.10.2021
Notizie positive
Articolo del 28 ottobre 2019
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Nel suo nuovo libro, dal titolo “The Green New Deal”, Rifkin spiega perché la nostra civiltà basata sui combustibili fossili è destinata a collassare nel 2028 e perché gli Stati Uniti perderanno la partita della terza rivoluzione industriale se continueranno ostinatamente a dormire il sonno della bella addormentata
Jeremy Rifkin è il fondatore e il presidente della Foundation on Economic Trends (FOET) con sede a Washington e professore di economia all’Università della Pennsylvania, dove tiene in particolare corsi per amministratori delegati e alti dirigenti di grosse aziende, su come realizzare la transizione delle loro attività commerciali verso un’economia sostenibile. Rifkin è uno degli economisti americani più influenti ed è autore di oltre una ventina di saggi. Secondo un sondaggio effettuato da WorldPost & HuffingtonPost, Rifkin si situa al 123 rango fra le voci più ascoltate e al 10° fra gli economisti più influenti del mondo.
Ebbene, secondo Jeremy Rifkin, siamo oramai entrati in pieno nella terza rivoluzione industriale, quella a zero emissioni CO2. Se la prima rivoluzione industriale è stata alimentata essenzialmente dal carbone e dal vapore, la seconda lo è stata dal petrolio e dalla telefonia, mentre la terza, quella in corso, si basa essenzialmente sulle energie pulite e rinnovabili e sulle tecnologie digitali. Mentre la Gran Bretagna ha guidato la prima di queste tre rivoluzioni industriali e gli Stati Uniti la seconda, ora, secondo Rifkin, tocca alla Cina guidare la terza.
La Cina si appresta a investire 6000 miliardi di dollari nelle rinnovabili
Stando a una notizia dell’Huffington Post, riportata direttamente da Pechino nell’ottobre del 2015, il libro di Rifkin “La terza rivoluzione industriale”, non solo è stato letto anche dal primo ministro cinese Li Keqiang, ma è stato addirittura alla base del 13° piano quinquennale stilato dal governo cinese. La Cina sta infatti investendo somme colossali nelle energie rinnovabili e nelle nuove tecnologie. Secondo un rapporto commissionato dall’IRENA, l’Agenzia Internazionale delle Energie Rinnovabili, nessun altro paese s’è piazzato in una posizione strategica così favorevole come la Cina per diventare la superpotenza delle rinnovabili. La Cina dispone oggi di un terzo della capacità eolica mondiale, è sede di 4 delle 10 principali multinazionali che producono turbine eoliche, è sede di 6 delle 10 principali ditte che producono pannelli fotovoltaici e dispone di ¼ della capacità fotovoltaica mondiale, senza contare il fatto che è pure il più grande produttore mondiale di veicoli elettrici, dalle automobili, ai bus, fino agli autocarri. Pur essendo attualmente ancora il maggior consumatore di carbone, ne brucia infatti il 40% della produzione mondiale, la Cina sta chiaramente orientandosi verso l’energia pulita. Secondo gli osservatori il governo di Pechino si appresta a investire sull’arco dei prossimi 20 anni la gigantesca somma di oltre 6000 miliardi di dollari nelle energie pulite.
Una “bolla” da 100'000 miliardi di dollari
Citando un rapporto di Citgroup, uno dei 4 maggiori istituti finanziari degli Stati Uniti, Rifkin sottolinea l’enorme rischio finanziario cui sono confrontate le industrie del petrolio, del gas e del carbone. Queste industrie dispongono infatti di impianti per un valore complessivo di oltre 100'000 miliardi di dollari, ossia i soldi investiti in oleodotti, gasdotti, porti, centrali elettriche, piattaforme petrolifere, navi cisterna, depositi di gas e petrolio, raffinerie, miniere ecc., tutti impianti che saranno ben presto obsoleti. Per queste industrie, il passaggio alle rinnovabili, rappresenta dunque un evento di proporzioni sismiche. Rifkin ne sa qualcosa, lui che è uno dei principali architetti di Smart Europe, la visione economica a lungo termine dell’Unione Europea, che è stato consigliere di centinaia di governi e organizzazioni civili e che è stato invitato a parlare davanti ai dirigenti delle più importanti multinazionali del pianeta.
La resa dei conti è programmata
In un’intervista rilasciata al domenicale Sonntags Blick, Rifkin non esita a dichiarare che entro il 2028 la nostra economia basata sulle energie fossili sarà rimpiazzata da un’economia digitale “green”. Secondo Rifkin diversi settori chiave dell’economia globale hanno già iniziato a sganciarsi dai combustibili e dai propellenti fossili. Le ragioni sono diverse: da un lato cresce di giorno in giorno la pressione politica e sociale per spingere l’economia a un giro di boa ecologico, dall’altro le energie solare e fotovoltaica sono oramai meno care di quelle fossili. In quattro settori chiave dell’economia il passaggio alle energie rinnovabili è già in corso: in quello delle comunicazioni, quello della produzione di elettricità, quello immobiliare e nella mobilità. Giganti dell’informatica come Google, Facebook e Apple coprono già oggi il fabbisogno energetico dei loro colossali data center con le rinnovabili, Amazon e Ikea li stanno seguendo. Anche l’industria automobilistica americana, europea e asiatica si sta muovendo: Tesla ha aperto la strada con i suoi modelli elettrici, e gli altri costruttori seguono investendo complessivamente ben 225 miliardi di dollari per l'elettrificazione della loro gamma di veicoli. VW sta investendo da sola 80 miliardi per la sua conversione all’auto elettrica e intende portare sul mercato entro il 2025 ben 50 modelli elettrici, BMW dal canto suo investe 50 miliardi per lanciare 12 nuovi modelli elettrici e si prevede che le auto elettriche saranno più a buon mercato entro il 2025. La resa dei conti in seno al settore energetico è dunque oramai programmata.
Lo stallo delle fossili è già iniziato
Dal 2012 al 2019, la produzione di petrolio statunitense è più che raddoppiata passando da 5,5 milioni di barili al giorno a 12 milioni, ma da quest’estate la crescita s’è fermata per la prima volta, facendo crollare i prezzi del greggio. Secondo Rifkin questo è solo l’inizio e la bolla speculativa sulle fossili scoppierà ben presto. Tuttavia, se la bolla delle fossili dovesse scoppiare troppo presto, arrischierà di essere un fatto devastante per milioni i lavoratori. Ecco perché molti fondi pensione stanno riorientando i loro investimenti via dalle fossili verso le rinnovabili. Secondo Rifkin si tratta del più gigantesco movimento di “reinvestimento” della storia del capitalismo. A confermarlo anche il professore Massimo Filippini, titolare della cattedra di Energia ed Economia Pubblica al politecnico di Zurigo, secondo il quale sempre più banche, fondi d’investimento e fondi pensione indirizzano i loro capitali verso l’economia verde.
E la Svizzera, a che punto è?
Il nostro paese non dispone nel suo sottosuolo di riserve di combustibili fossili, non dispone di un’industria pesante avida di energie fossili e nemmeno di un’industria automobilistica propria, quindi le lobby delle fossili nel nostro paese sono un po' meno potenti che altrove. Il 75% del nostro consumo energetico è comunque basato sull'importazione di petrolio e gas e Albert Rösti, che presiede il principale partito svizzero, l’UDC, è pure presidente di Swiss Oil, la lobby dei distributori svizzeri di carburanti fossili. Ecco perché la transizione energetica sarà tutt'altro che facile. Si tratterà infatti di sostituire nei prossimi anni quel 75% di energie fossili che importiamo, spendendo, val la pena ricordarlo, 15,5 miliardi di franchi all’anno. Secondo Rifkin, il mercato non potrà risolvere tutti i problemi e la politica dovrà metterci del suo, promulgando sanzioni e incentivi. Le ultime elezioni federali lasciano comunque ben sperare, visto che hanno rinforzato parecchio l’asse ecologista.